Sciolina? No grazie

Merito della qualità della neve, delle basse temperature, della scivolata spinta a sci rigorosamente uniti come impone oggi la tecnica classica. E merito probabile delle alchimie delle nuove scioline. Così domenica 27 gennaio 2018 la storia dello sci deve registrare la Marcialonga più veloce di tutti i tempi, dove ha dettato legge il russo Ilya Chernousov. L’atleta ha chiuso la 70 chilometri che si corre lungo le valli di Fiemme e Fassa in 2 ore 48 minuti e 8 secondi a una media di 25 chilometri all’ora: una velocità folle se si pensa che il dislivello complessivo del percorso è di circa mille metri. Duecento metri di dislivello sono concentrati negli ultimi tre chilometri, da Cascata a Cavalese, tutti in salita. Una volta prima di affrontare quella rampa noi “bisonti” affidavano gli sci a squadre di sciolinatori che senza indugiare impregnavano le solette con una sorta di calda e maleodorante marmellata appiccicosa passandole e ripassandole, le solette intendo, su rulli che a loro volta pescavano in bollenti pentoloni. Poi via tutti verso la salita a passo alternato, azzardando qualche passo-e-spinta, quaellà un finlandese o un triplo secondo una tecnica codificata nel manuale “Sciare come al nord” di Bengt Herman Nilsson. Lo stesso succedeva sull’altipiano di Asiago alla Marciabianca: in quel di Marcesina gli addetti della locale fabbrica di scioline attendevano al varco i fondisti con i pentoloni pieni di ribollenti cere liquefatte che spennellavano generosamente sotto le solette per aumentare la “tenuta” in fase di spinta.

Sciare come al nord richiedeva creatività. E scioline in gran quantità. Oggi la tecnica classica nelle competizioni si è ridotta a un gesto ripetitivo, sempre lo stesso. Hop, hop, gli atleti spingono ritmicamente con le braccia, impettiti come i soldatini di piombo della nostra infanzia, flettendosi sulle ginocchia il tanto che basta. E la sciolina? Di questa sostanza si continua a fare largo impiego con qualsiasi tecnica, a meno che non ci si accontenti di quegli attrezzi predisposti per non essere sciolinati, i più usati per andare a spasso ma molto più lenti. Tutto ciò con quali ricadute sull’ambiente? Come vecchio bisonte mi rendo conto di avere seminato smodate quantità di sciolina nel terreno lungo quei settanta chilometri della Marcialonga più volte ripetuta. Ho concimato le valli di Fassa e di Fiemme con interi tubetti di klister o di skare, con il catrame della grunvalla, con gli stick di cera blu e verde mescolata con fluoro e idrocarburi. Come potrei non sentirmi in colpa per avere disperso sostanze insolubili poi assorbite dal terreno e rimaste lì chissà per quanto? Oggi, salvo errori, se si hanno velleità di classifica non si può fare a meno dell’indispensabile cera F non so quanto compatibile con l’ambiente per via dei fluoruri che contiene. Va stesa con un ferro da stiro previa ripulitura della soletta con pestiferi solventi spray che noi sciatori fondisti inalavamo beati come se fossero erbe balsamiche. Forse oggi non è più così. Chissà se in un’ottica di economia verde sono in vendita scioline ecocompatibili? Se così non fosse, non si potrebbe cominciare a pensarci? Di sicuro non sono ecocompatibili quelle di cui ho abusato pensando di migliorare le mie modestissime prestazioni. Ma oggi mi dichiaro pentito e ho deciso: tutti quei tubetti che mi sono rimasti nella valigetta degli attrezzi li porto alla discarica. Meglio lì piuttosto che tra i prati delle valli di Fiemme e di Fassa o sui fondali dei laghi dell’Engadina. (Ser)