Riscoprire la montagna con il Tai Chi Shan

Del Tai Chi sono illustrati i principi, le tecniche e gli esercizi che possiamo utilizzare nell’attività di arrampicatori, escursionisti o praticanti della montagna.

Con competenza e un tono discorsivo condito da episodi di vita vissuta e da una piacevole ironia, Giuseppe “Popi” Miotti ci guida in un libro nella conoscenza del Tai Chi Shan rappresentato dal noto e millenario simbolo del Tao in cui gli opposti principi, Yin e Yang, si avvolgono l’un l’altro in una eterna danza rotante, fondendosi in un cerchio dove nessuno dei due prevale e nel quale ciascuno comprende già in sé il seme dell’altro. Inedita è però la prospettiva. Del Tai Chi Shan sono illustrati i principi, le tecniche e gli esercizi che possiamo utilizzare nell’attività di arrampicatori, escursionisti o praticanti della montagna. Il nuovissimo volume dell’alpinista e scrittore valtellinese “Tai Chi Shan la montagna dell’equilibrio” (Versante Sud, 166 pagine, 30 euro) viene non a caso definito un viaggio nella consapevolezza dell’andar in montagna, nell’equilibrio interiore ed esteriore, mentre il nostro corpo procede in unione con la natura. Camminando o arrampicando: la forma non importa e non modifica il contenuto. Recuperare quel significato ancestrale e profondo che, spesso inconsapevolmente, ricerchiamo in montagna, è quanto si ripromette Miotti che con gli amici della Val di Mello partecipò negli anni all’epoca considerati di piombo al movimento del “nuovo mattino” reinventando l’arrampicata moderna. Un solo rischio può derivare dalla lettura di questo piacevolissimo libro. “Queste pratiche”, avverte Miotti, “hanno un enorme potere di presa e fascinazione: potreste anche decidere di scendere dalle cime per dedicarvi completamente ad esse. La soluzione migliore è di tenere il piede in due scarpe…”. Uno dei mantra spesso pronunciati dagli insegnanti di Tai Chi e Qi Gong è quello che si concentra sulla giusta Intenzione da mettere durante l’esercizio. Che vuol dire? Semplicemente che al di là del risultato che stiamo producendo, quello che conta è avere un atteggiamento di piena e rilassata partecipazione al gesto.

Miotti tra le montagne della Val Masino. L’immagine sopra il titolo è tratta dal suo libro sul Tai Chi Shan.

“Insomma,” raccomanda Miotti, “non c’è fretta, godiamoci mentre camminiamo il piacere di metter un piede dopo l’altro nel modo migliore, divertiamoci nel trovare la soluzione meno faticosa per affrontare il passo successivo, respiriamo, percepiamo l’ambiente che ci circonda e proviamo ad entrarne in contatto pur senza perdere l’attenzione su quello che stiamo facendo”. Che bello leggere queste parole estranee al tono cattedratico di tanti manuali, sicuramente in grado di far breccia nei lettori più giovani! Del resto, tutta la nostra vita è fatta di yin e yang, di parti opposte però complementari. Se ne nutro solo una, è come se fossi alimentato artificialmente: sopravvivo, non vivo. Uno dei principi cardine del Tai Chi afferma che non bisogna mai cercare di opporsi di petto a una forza, occorre adottare una cedevolezza consapevole, volta a controllare il gesto senza bruschi movimenti, passando rapidamente da una fase passiva a una attiva senza soluzione di continuità. C’è tanto da imparare da questa nuova (e forse sofferta, perché la semplicità talvolta è una conquista) fatica letteraria di Miotti. Anche perché per scrivere un libro così ci vuole una vita un po’ speciale come quella del Popi, con un passato di grande alpinismo, la capacità di interpretare i fenomeni naturali, l’aver rischiato e sofferto, tante buone letture, tanta competenza, un pizzico di modestia, la voglia di rimettersi in gioco. Con naturalezza, Miotti racconta sempre in prima persona, il tono è quello che ci si può immaginare seduti tutti insieme intorno a un caminetto acceso, controllato è il  divagare. Una lettura, questa, pressoché obbligatoria anche per chi di Tai Chi e di montagna si considera digiuno o finora non gliene è mai importato niente. (Ser)

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