Uno skilift 4 milioni di euro. Soldi buttati?

Il quadro è desolante: il comparto dello sci in Lombardia risulta da fonti attendibili in rosso per 350 milioni di euro. Molte località dove il turismo ha stravolto l’assetto sociale sono sull’orlo del fallimento. Ora un progetto di legge regionale pone la sua attenzione sulla promozione e sullo sviluppo dei territori montani interessati da impianti di risalita e da infrastrutture connesse e funzionali al relativo servizio. Uno dei capisaldi del progetto è il riconoscimento del ruolo pubblico degli impianti e delle infrastrutture accessorie. Sul controverso argomento, mountcity ha intercettato in FB uno scritto del valtellinese Giuseppe Popi Miotti che sul futuro delle sue montagne esprime fondate riserve, sia pure con la speranza, alimentata dalle nevicate dei primi di novembre, che gli inverni tornino quelli di una volta. Pubblichiamo integralmente lo scritto di Miotti con la cortese accondiscendenza dell’autore, che ringraziamo.

Prima neve in Valmalenco.

Quelle domande moleste

A volte mi capita di interrogarmi, oltre che su me stesso, su episodi e accadimenti diversi. In questi giorni pensieri molesti si sono affacciati leggendo qua e là sui quotidiani locali. Le cose che non comprendo in questo mare magnum di proclami, di spot promozionali che sciorinano milioni di euro come se fossero provvidenziale manna dal cielo sono molte e, mentre cercavo di capire, mi è anche balzato in mente lo sciocco pensiero di riconvertire gli euro, spesi o promessi, in lire. Scopro così che una nuova pista da sci a Caspoggio è costata 300 mila euro, ovvero 600 milioni di lire, il tutto per un tracciato che, trovandosi attorno ai 1000 metri di quota, nonostante l’orientamento a Nord, soffrirà dell’ormai innegabile mutamento del clima. Quindi alla pista si dovranno aggiungere anche i cannoni da neve? Ci sarà un conseguente prelievo di acqua che, se siccità come quella di quest’anno si rifaranno vive, sarebbe molto grave? Illuminante in questo senso la scelta fatta in una località della Carinzia, che è stata riconvertita ad area naturalistica protetta. Ecco cosa dice su La Stampa il responsabile: “Quest’area era un importante comprensorio sciistico. Poi negli anni Novanta abbiamo avuto tre inverni con poca neve; il monte Dobratsch fornisce acqua a tutta la regione e secondo alcuni esperti il rinnovo degli impianti con l’introduzione della neve artificiale avrebbe messo a rischio la qualità dell’acqua… Un moderno skilift costa 4 milioni di euro, senza contare la spesa per la neve artificiale. Con questa somma possiamo organizzare iniziative invernali alternative per 40 anni. E poi lo abbiamo visto l’anno scorso: c’era pochissima neve, ma con il nuovo modello che abbiamo scelto, non ne abbiamo avuto bisogno”.

Nel 2008 la Provincia di Sondrio stipulò un accordo con il Comune di Teglio per finanziare un bacino idrico da utilizzare anche per innevare artificialmente le piste di Prato Valentino. Mi pare che la somma messa sul piatto, o meglio, nell’invaso, fosse di 700 mila euro da parte della Provincia più altri 700 mila da parte del Comune (oltre due miliardi e mezzo di vecchie lire). Vista la posizione della località, esposi i miei dubbi in un articolo, ma nessuno rispose: sarebbe interessante sapere se l’intervento è andato in porto e quali ritorni economici ha consentito.

Certi finanziamenti non fanno altro che illudere, ritardando qualsiasi tipo di diversificazione dell’offerta invernale…

Restando in tema ecco una querelle circa l’ipotizzato finanziamento regionale al comparto dello sci che, come riporta un giornale locale, è in rosso per 350 milioni di euro (700 miliardi di lire). Ho molti amici che lavorano nel settore e non gioisco vedendo come il cambiamento climatico abbia penalizzato lo sci alpino. Amo gli inverni nevosi come amavo le vette imbiancate anche d’estate e oggi trasformate in brulli ammassi di rocce circondate da quel che resta di pingui ghiacciai. Mi auguro fortemente che da quest’anno gli inverni ritornino quelli di una volta, ma sorge spontanea una domanda: quale fabbrica potrebbe sopravvivere con 350 milioni di passivo e senza grosse speranze di recupero? Se lo sci è un’industria (privata?), oggi è in fallimento e un sostegno pubblico, cioè pagato da tutti, dovrebbe essere sottoposto ad un serio studio economico, a un business plan credibile: non dovrebbe essere “drogato” da finanziamenti che non fanno altro che illudere, ritardando qualsiasi tipo di diversificazione dell’offerta invernale.

Tutto ciò sempre che il territorio, spesso sfigurato dall’immobiliarismo selvaggio, vedi Val Malenco, ancora lo consenta. In questa direzione va anche qualche dubbio personale circa l’acquisto degli skipass per i giovani da parte del BIM. Sembra solo un po’ di doping al sistema e non capisco perché tale denaro non debba essere ripartito con altre attività turistiche che soffrono. Viceversa, perché non orientare il finanziamento alla riduzione del costo dei bus che centinaia di ragazzi utilizzano per andare a scuola nei principali centri della provincia?

Poi scoppiano incendi in Val Chiavenna e più recentemente a Forcola e in altre zone della valle. I responsabili non saranno mai assicurati alla giustizia anche se hanno provocato seri danni e altri ne potevano arrecare alle abitazioni e alla vita degli abitanti. Anni or sono un grande incendio scoppiato alle spalle di Tirano si spinse oltre frontiera facendoci fare una brutta figura coi vicini svizzeri che, se ben ricordo, chiesero anche i danni.

Come mai tali disastri si verificano solo da noi? Invece di proclamare ad ogni evento calamitoso che si farà giustizia e che mai più tali fatti si verificheranno, non sarebbe meglio investire in cultura del territorio partendo già nelle scuole piuttosto che in strade taglia fuoco e bacini di prelievo dell’acqua per i mezzi di spegnimento? Che poi, se ti appiccano l’incendio con il buio, vedi Sirta, sono perfettamente inutili per un pronto intervento.

Se uno solo dei milioni di euro (miliardi di lire) spesi per un referendum fosse stato impiegato per informare e per insegnare un rapporto diverso e rispettoso nei confronti del luogo dove viviamo e dei suoi valori storici, architettonici e naturalistici, forse qualche falò si poteva evitare. Recentemente si sono anche tenuti un paio di convegni sui pericoli del dissesto idrogeologico in provincia. Speravo che in qualcuno di questi si sollevasse anche il problema aperto della Frana di Spriana, ma neppure se n’è fatto cenno; eppure sono stati spesi milioni di euro (miliardi di lire) per fare un buco nella montagna che in caso l’evento si verificasse è oggi perfettamente inutile perché incompleto. Non serve? E allora perché si sono spesi questi soldi pubblici? Serve? E allora perché non lo si completa almeno per renderlo utile al minimo? Tutti tacciono.

Giuseppe “Popi” Miotti

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