Paleari e l’arte di attraversare le Alpi

L’attraversamento delle Alpi con gli sci raccontato da Alberto Paleari nel suo recente libro pubblicato da MonteRosa edizioni (“L’attraversamento invernale delle Alpi”, 206 pagine, 15,50 euro) è una fonte di scoperte che lo stesso Paleari, scrittore e guida alpina ossolana, evoca questo autunno anche in una serie d’incontri con il pubblico. Il volume, uscito nella sempre più fornita collana delle “parusciole” (piccoli, innocenti uccelli), non è soltanto un racconto di avventure scialpinistiche, che pure ci sono, ma anche un viaggio nella storia e nelle storie: dalla colonizzazione walser della Val Formazza al rastrellamento dei partigiani in Valgrande del giugno 1944, dall’epopea della costruzione delle centrali idroelettriche alla descrizione dei mutamenti naturali notati sulle Alpi in più di cinquant’anni di assidua frequentazione dell’autore, per finire con la storia ben più lontana e forse solo leggendaria di Guglielmo Tell. MountCity ha intervistato l’autore dopo averne sommariamente presentato il volume (https://mountcity.it/index.php/2017/10/16/attraverso-le-alpi-rileggendo-la-storia-il-nuovo-libro-di-paleari/).

Una delle serate con Alberto Paleari, appassionante conferenziere.

Come è nata, Alberto, l’idea di questo attraversamento?

“Non ricordo, credo di averla sempre avuta, quella di partire un giorno a piedi da casa mia, sul lago Maggiore, e di arrivare ad affacciarmi sulle pianure della Germania al di là delle Alpi. Io poi non amo viaggiare, voglio dire i viaggi esotici. Per esempio non sono mai stato in Nepal e non mi interessa andarci: il mio Nepal l’ho trovato in quei quindici giorni di attraversamento delle Alpi tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Lo stesso percorso, fatto in estate, o anche solo durante l’alta stagione dello scialpinismo, con i rifugi e i passi alpini aperti, sarebbe stato completamente addomesticato, completamente diverso”.

Meglio le Alpi per il lungo o per il largo?

“Le Alpi per il lungo, cioè per esempio come le ha attraversate Bonatti nel 1956, da Trieste a Nizza, sono un’impresa sportiva, completamente slegata da ogni contesto storico o antropologico. A nessun condottiero è mai venuto in mente di attraversare le Alpi da Trieste a Nizza, e a nessun popolo di migrare seguendo quella rotta: era più comoda la pianura padana. Invece le Alpi, da Annibale a Napoleone, sono sempre state attraversate da nord a sud e da sud a nord, da eserciti, migranti, commercianti, esuli, artisti che scendevano in Italia per la sua cultura, penso per esempio a Goethe, qui da noi dai walser, dagli esuli, dagli ebrei che scappavano in Svizzera, da mio padre stesso che dopo l’8 settembre (nel libro ne accenno) si rifugiò in Svizzera, dove fu internato, e malgrado tutto conservò un bel ricordo di quel periodo. Voglio dire che io non sono mai riuscito a slegare la montagna dalla vita degli uomini, a considerarla solo una palestra di imprese sportive. Comunque attraversare le Alpi per il lungo avrebbe richiesto troppi soldi, che non ho, o degli sponsor, che non ho mai voluto avere”.

Confessa, è stata dura… avevate perfino con voi, negli zaini, le bombole di gas. Lo rifaresti?

“No, non è stata per niente dura, nel libro lo scrivo: sono state le mie ferie. Ci siamo concessi tutti gli agi e tutto il tempo possibile, quando è arrivato un periodo di maltempo e di pericolo di valanghe siamo tornati a casa e abbiamo ripreso da quel punto quando il tempo è migliorato. A portare zaini pesanti sono abituato da tutta la vita, siccome siamo partiti a fine gennaio abbiamo trovato i rifugi chiusi e abbiamo portato viveri e un paio di bombolette di gas, ma la logistica, grazie a Livia che se n’è occupata, è stata perfetta, e nei fondovalle in cui arrivava una strada avevamo l’assistenza di una macchina con viveri e ricambi nuovi”.

Che cosa consiglieresti a chi desidera ripetere questa esperienza?

“Di non ripeterla esattamente, anzi, di inventarsene un’altra: l’attraversamento delle Alpi da sud a nord si può fare per infiniti itinerary”.

Paleari (in alto nella foto) posa sotto la statua di Guglielmo Tell ad Altdorf (CH) con i due compagni di viaggio al termine dell’attraversamento delle Alpi

Hai anche commesso un errore lasciandoti trascinare dall’entusiasmo mentre sciavi. Quale lezione hai ricavato?

“Ognuno è quello che è, alla mia età poi non si cambia più di sicuro. Io sono sempre stato un entusiasta, è tutta la vita che mi lascio trascinare dall’entusiasmo e faccio cose assurde, come sciare in quel modo in un posto così lontano da ogni soccorso in cui un incidente poteva essere fatale. Per fortuna è finita bene. Alla fine l’incidente ha dato un po’ di pepe a un paio di capitoli del libro che senza sarebbero stati fiacchi”.

Sei guida alpina da quarant’anni e le montagne dell’Ossola ti sono familiari. Che cos’hanno che le altre montagne non hanno?

“Gli ossolani. Così sprovveduti, così ingenui, che non sono mai riusciti a farla decollare turisticamente. Tranne alcuni posti, come l’alpe Devero e pochi altri. La bellezza dell’Ossola è che non ha mai avuto il successo turistico che meritava. Il turismo è il principale nemico della bellezza”.

Hai attraversato una Svizzera dove tutto sembra funzionare alla perfezione, a cominciare dai treni. Quale difetto rimproveri agli svizzeri?

“Agli svizzeri in generale non rimprovero alcun difetto: come dappertutto immagino che anche in Svizzera ci siano brave persone e cattive persone, intelligenti e stupidi, ignoranti e colti. Però una cosa la devo dire, e a favore della Svizzera: è un paese quasi interamente coperto da montagne sterili e improduttive, ha, più o meno sei milioni di abitanti, e ci sono, più o meno, due milioni di immigrati. Tutti lavorano, magari alcuni sono sfruttati, ma tutti hanno una vita dignitosa e la speranza di farsi un future. In italia ci sono 60 milioni di abitanti, rispettando le medesime proporzioni potremmo sostenere 20 milioni di immigrati, invece ne teniamo centinaia di migliaia in quei campi di concentramento che sono i ‘centri di accoglienza’ e nelle due principiale regioni del paese governa un partito xenofobo e razzista”.

E che cosa dovremmo imparare dagli svizzeri?

“Che le leggi vanno rispettate e che chi non le osserva viene condannato”.

Il tuo è più un libro di alpinismo o un libro di viaggio?

“Di viaggio”.

Quale è il miglior riconoscimento a cui aspiri?

“Sulla mia tomba vorrei che ci fosse lo stesso epitaffio che c’è a Macugnaga su quella di   Ferdinand Imseng, che a metà Ottocento salì per primo la Parete Est del Rosa: bon guide honnète homme“.

Ser

www.monterosaedizioni.it

Commenta la notizia.