Stregati dalla Meije. E fu la fine per i milanesi “senza guida”
Alla vetta della Meije, nel Parco nazionale degli Écrins (Delfinato), mancano solo diciassette metri per arrivare ai fatali 4000; ma non si può negarle fascino e fama. I francesi l’accostano spesso al Cervino o al Monte Bianco, anche se del primo non ha l’eleganza e del secondo la grandiosità; ma negli anni ’70 dell’Ottocento l’alpinismo francese aveva bisogno di un simbolo, di una conquista significativa quando l’epoca delle grandi vittorie nelle Alpi stava per finire, e i francesi si erano dovuti accontentare del Pelvoux. Dopo Sédan, c’erano di mezzo anche sentimenti nazionalistici; la Francia aveva bisogno di affermazioni e di gloria. Fu uno dei fondatori della sezione Isère del CAF (Club Alpino Francese), Henry Duhamel (1853-1917), nato a Parigi ma stabilitosi da ragazzo a Gières presso Grenoble e quindi uomo di casa nella zona della Meije, a prendere di petto il problema. Il primo tentativo al Grand Pic – punto culminante della Meije – è condotto da Duhamel insieme con Paul Guillemin nell’estate 1874; con loro c’è Pierre Gaspard (1834-1915), un locale che ha più dell’esperto montanaro che della guida. Anche se il tentativo fallirà per le difficoltà incontrate su roccia, il merito di Duhamel è quello di aver intuito la via giusta: affrontare il Grand Pic da sud, mentre in precedenza si era preferito il versante nord, coperto dal ghiacciaio.
Nell’agosto 1875 Duhamel ci riprova con un diciottenne, Emmanuel Boileau de Castelnau (1857-1923) e il solito Gaspard; nuova sconfitta. L’anno buono è il 1877; mentre Duhamel è preso da incombenze legate alla sua carica nel CAF, Boileau – con Pierre Gaspard accompagnato dal figlio di costui e dalla guida J. Baptiste Rodier – il 16 agosto mette piede sulla sommità del Grand Pic.
I protagonisti
Il periodo della scoperta alpinistica del Delfinato coincide in Italia con l’affermarsi dell’alpinismo senza guide, che a Milano raccolse vari alpinisti di punta sotto la sigla GLASG (Gruppo Lombardo Alpinisti Senza Guida): la sua fondazione risale al 1907. Il GLASG quindi si era appena costituito quando subì il duro colpo di quella che passò alla storia alpinistica come “la catastrofe della Mejie” in cui persero la vita due dei soci fondatori: Francesco Bertani ed Eugenio Moraschini. Bertani, nato a Milano nel 1873, era appassionato di scienza e tecnica ma coltivava anche la musica, il disegno e la poesia. Moraschini era di sette anni più giovane; nato a Melzo nel 1880, divenne ragioniere. Anch’egli era appassionato di poesia – erano i tempi di Giovanni Bertacchi che incantava gli alpinisti con le sue liriche – e di fotografia.
Il terzo del gruppo era Angelo Rossini (1875-1959), uno dei soci più attivi del CAI Milano. Sopravvissuto alla catastrofe della Meije, ne fu così sconvolto – dati anche gli strascichi polemici che ne seguirono – che rinunciò da allora alle ascensioni difficili. Quali furono le ragioni che spinsero i tre amici alla Meije? Nella relazione del superstite Rossini che comparve sulla Rivista del CAI del mese di luglio 1907, l’idea è attribuita a Bertani che l’aveva già salita con Facetti e le guide nel 1899; possiamo pensare che al fascino della vetta in territorio straniero e di recente esplorazione si aggiungesse l’ambizione di dar lustro anche all’estero – e in una zona quasi esclusiva dei piemontesi – al neonato GLASG. A dare una certa sicurezza di riuscita contribuiva la conoscenza dei luoghi assicurata da Bertani.
L’ascensione e il tragico epilogo
Dopo un avventuroso viaggio, parte in diligenza, l’8 luglio 1907 i tre raggiungono – tramite la Brêche de la Meije – il versante sud e il rifugio del Promontoire (3092 m). A causa del maltempo, ridiscendono al villaggio di La Bérarde, sempre in vista della parete sud. Risalgono il 10 luglio al rifugio, base classica di tutte le salite: il piano comprende una esplorazione del “couloir Thorant” per la mattina dell’11, con eventuale taglio di scalini per facilitare l’attacco finale deciso per l’alba del giorno 12. Quella mattina Rossini non si sente bene; i due compagni lo tranquillizzano, si tratta solo di una ricognizione, conviene che l’amico si riprenda per la fase finale. Rimane al rifugio, e perde di vista i due, che salgono legati con una doppia corda di 24 metri; dovrebbero essere di ritorno dopo quattro o cinque ore. Rossini si dà da fare per preparare il materiale occorrente per l’indomani; la partenza è prevista alle due di notte.

All’alba del giorno successivo, dopo aver fatto segnali con la lanterna, nella speranza che gli amici fossero stati costretti ad un bivacco notturno, con grave rischio Rossini si avventurò da solo verso l’alto per cercarli; superò vari passaggi insidiosi e raggiunse la Pyramide Duhamel, dove si era interrotto il primo tentativo del 1874. Da lì intravide alla base della parete i corpi esanimi dei due amici. Lasciamo la parola a Rossini che così si esprime nella sua relazione, in uno stile fra il lirico e l’eroico proprio del suo tempo: (…) Verso le ore 16, incominciai ad interrogare la montagna, poi più tardi, verso le 19, mi portai un poco più in alto per chiamare i compagni, ma alla mia voce non rispondeva che l’eco della grande muraglia. Assiso sopra una roccia, tutto solo fra quella natura selvaggia, davanti alla Meije così terribile e così bella, mi lasciai allora vincere da una dolce mestizia e vidi come in un sogno le ombre dei martiri che perirono qui, Zsigmondy, Thorant, Payerne e la schiera dei poveri amici morti per lo stesso altissimo ideale al Roseg, al Monte Rosa, alla Grigna, e pensai ancora che gli amici miei potevano già a quell’ora riposare in eterno sul fondo del ghiacciaio, là a destra, sotto l’oscura parete. Vi gettai uno sguardo e mi ritrassi inorridito; sul ghiacciaio si vedevano due macchie oscure di sinistro aspetto (…). Richiamate dai segnali, salirono le guide ed effettuarono il recupero dei cadaveri, che avvenne il 13 luglio; Rossini sconvolto dal dolore avvisò telegraficamente i dirigenti del CAI di Milano. Alle 7 di domenica 14 luglio già si trovavano al capoluogo St.Christophe-en-Oisans un gruppo di soci del CAI ad attendere il corteo funebre che – guidato da Rossini – scendeva da La Bérarde. Le esequie, e la sepoltura nel piccolo cimitero, svoltesi il 15, videro una folta partecipazione di alpinisti francesi guidati personalmente da Henry Duhamel. Durò a lungo l’impressione della sciagura nei circoli alpinistici lombardi. Un anno dopo, due cime gemelle della Val Masino furono intitolate agli scomparsi dal valtellinese Giovanni Bertolini, primo salitore.
Le ripercussioni
La catastrofe della Meije si colloca nel decennio che va dal 1901 al 1911, nel quale l’alpinismo milanese dovette purtroppo registrare numerose sciagure mortali, molte delle quali occorse ad alpinisti senza guida. Troviamo i nomi delle vittime nel volume celebrativo del 50° di fondazione della Sezione milanese del CAI: Gugelloni, Prinetti, Riva, Casati, Facetti, Gibert, Castelnuovo, Sommaruga, Bompadre, Adami, i fratelli Segato, Pasta, Parisini, Monti, R. Balabio. Il problema della pericolosità della montagna e dei senza-guide aveva già provocato discussioni negli ambienti del Club alpino. Gli infortuni mortali continuavano a suscitare costernazione, se non riprovazione, anche nell’opinione pubblica comune: i dibattiti sui giornali venivano alimentati dalle lettere dei lettori, che non di rado giungevano a condannare l’alpinismo.
La tragica fine di Bertani e Moraschini suscitò particolare emozione, forse perché erano professionisti noti in città anche al di fuori dell’ambiente alpinistico. Il Corriere della Sera pubblicò due servizi il 14 e 15 luglio, a firma di Ottone Brentari, ottimo alpinista e collaboratore del giornale. Il commento finale dell’articolo in data 14 luglio è tutto centrato sul problema delle ascensioni senza guida, definite una grande scuola di carattere, un modo straordinario per avvezzarsi a superare da sé le difficoltà della vita.
Ma i tempi erano ormai maturi per una svolta della pratica alpinistica; l’alpinismo senza guide si andava imponendo con la forza dei fatti, con l’evolversi della preparazione tecnica dei singoli e con la spinta dell’emulazione nei confronti degli alpinisti d’oltralpe. Il CAI dimostrò negli anni successivi, precedenti la prima guerra mondiale, di saper promuovere non solo le espressioni più ardite, ma anche le manifestazioni propagandistiche e di massa, come le escursioni popolari ideate e organizzate da Mario Tedeschi fra il 1911 e il 1913.
Lorenzo Revojera