Vino e montagne. Fate come Mauri

Che cosa spinge uomini di montagna a nascondere il loro vino per otto anni nel cuore di una montagna di 2000 metri? Forse la certezza che “l’altitudine trasforma”, come ha scritto lo scalatore Carlo Mauri nel suo libro “Quando il rischio è vita”. “L’io con il quale ho vissuto sull’Himalaya era talmente diverso dal mio io di adesso da non essere in grado di descriverlo”, spiegò Mauri. Morale: anche il vino custodito in una miniera a 500 metri di profondità, in Alto Adige, non assomiglia più a quello imbottigliato nel 2009. Logico. Catalano con la sua filosofia spicciola non avrebbe saputo dire di meglio. Ma questo è quanto assicura anche Luciano Ferraro, esperto di vini, nella pagina “Tempi liberi” del Corriere della Sera di venerdì 11 agosto 2017.

Forse non occorreva scomodare la buonanima dell’alpinista lecchese (che diede grandi prove anche in cordata con Walter Bonatti) in questo contesto. Ma sentire chiamare in causa, nel gran discutere che oggi si fa di vini, un alpinista che i media (specializzati compresi) da tempo trascurano, non capita tutti i giorni. E per un appassionato di alpinismo, ammettiamolo, è stata una lieta sorpresa. Il merito, oltre che dell’autore dell’articolo, è sicuramente della collana del Corriere della Sera “Storie di montagna” a cura di Marco Albino Ferrari, patrocinata del Club Alpino Italiano, che di recente ha mandato in edicola al prezzo di 7,90 euro “Quando il rischio è vita”. Questo libro autobiografico oggi ci permette di riaccostarci a Mauri, figura indimenticabile, che i tanti amici a Lecco ancora chiamano affettuosamente il Bigio: un uomo dall’innata sete di avventure che seppe essere anche un bravo inviato speciale della Domenica del Corriere rivaleggiando con il Bonatti avventuroso di Epoca.

Curiosamente Mauri sapeva immedesimarsi nelle popolazioni che incontrava e la sua capacità di adattamento era straordinaria: alpinista nelle Alpi, sherpa nell’Himalaya, eschimese in Groenlandia, discendente degli Incas sulle Ande. “A volte”, raccontava, “per adattarmi all’ambiente, ho dimenticato la mia cultura e sono sopravvissuto meglio con il solo istinto: come un animale, ho immaginato di essere un pinguino all’Antartide e anche un delfino, quando navigavo a vela nelle acque tempestose di Capo Horn…”. Ma tutto questo con l’enologia probabilmente non c’entra. (Ser)

 

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