Storia (a lieto fine?) delle Alpi

A fronte del massimo splendore della civiltà urbana, la montagna è stata in genere ritenuta un mondo distante e pericoloso. Le Alpi sono state considerate niente più che un baluardo di pietra a difesa delle pianure civilizzate. Nella lunga fase che va dal Rinascimento all’Illuminismo la montagna e il montanaro sono dunque lontani, inesplicabili e incomprensibili per la civiltà urbana. E oggi? È una distanza incommensurabile per molti quella che separa le città dalle Alpi, una distanza che investe tutte le sfere, dall’ambiente fisico al comportamento, dal vestiario all’alimentazione. Di questo e di molto altro si parla nella nuovissima “Storia delle Alpi” di Enrico Camanni (Biblioteca dell’Immagine, 341 pagine, 12 euro), lettura obbligatoria per chiunque ritenga che le Alpi non siano soltanto luoghi di svago dove fuggire dalle città inquinate e/o infuocate. La materia è vasta, ma Camanni sa come padroneggiarla e renderla accattivante dopo aver fornito grandi prove con suoi precedenti saggi sull’argomento. Oltretutto la bibliografia che correda il volume offre una visione a 360 gradi di tutto quanto è stato pubblicato e già questo ne giustificherebbe l’acquisto. Come premessa, l’autore sviluppa la storia delle Alpi “sceneggiandola” come in un film in venti puntate, dalla remota preistoria all’età moderna. L’uomo appare sulle Alpi alla fine di un lunghissimo ciclo evolutivo, mettendo subito un importante sigillo come dimostra la mummia del Similaun alla quale è giustamente dedicato uno dei capitoli più documentati e appassionanti. La struttura del libro si presenta complessa, ma questo non deve scoraggiare soprattutto i lettori giovani. Il volume, che di sicuro dovrà occupare un posto di riguardo nelle biblioteche scolastiche, è diviso in cinque parti ciascuna delle quali ricca di capitoli e l’alpinismo, con la sua storia, non può che fare la parte del leone mettendo a frutto anche questo aspetto della personalità di Camanni, istruttore e alpinista provetto.
Varrebbe la pena di soffermarsi meglio sulle tante idee che circolano nel volume, ma il tempo è tiranno non solo per chi scrive e ciò che conta è far sapere in fretta agli interessati di questo importantissimo evento editoriale. Difficile è resistere alla tentazione di correre subito alle conclusioni in cui campeggia la figura del “nuovo montanaro”. Oggi chi ha scelto di abitare le terre alte, “e il salire è già un’azione ribelle di per se perché sovverte le leggi della fisica”, non può che portare nuova linfa, spinto da motivazioni etiche ed ecologiche. Speriamo. Anche perché le Alpi, spiega Camanni, sono la sfida di una natura ribelle al buon senso di un mondo docile, ordinato e addomesticato. E oggi per guardare al futuro occorre coraggio e senso della sfida. Tra l’altro, è sulle figure dei nuovi montanari che fa leva l’azione di Dislivelli, un’associazione di cui Camanni fa parte in veste di vicepresidente, dando vita a un team di ricercatori agguerriti e intraprendenti, promotori di iniziative coraggiose come le “sweet mountains” contrapposte ai dilaganti luna park del turismo dolomitico. (Ser)