Quando la vetta è un Sacro monte

Per i lettori che conoscono e apprezzano Alberto Paleari come scrittore non meno che come guida alpina, “Verso la montagna sacra” (MonteRosa edizioni, 144 pagine, 4 cartine con i percorsi, 75 foto, 22,50 euro) rappresenta una sorta di breviario, un’occasione per avvicinarsi al suo nomadismo letterario. Ancora una volta Paleari ci invita infatti a un vagabondaggio tra le montagne di casa. Tra Ossola e Valsesia in questo caso. Qualcosa di simile aveva fatto nel 2015, insieme con Livia Olivelli, nel raccontarci di un’”Ossola bella e buona”. Il viaggio questa volta si svolge a piedi tra due sacri monti, quello di Orta e quello altrettanto celebre di Varallo.

La copertina con il Monte Rosa sullo sfondo. Nella foto in alto sopra il titolo una veduta del Sacro Monte di Varallo.

E’ un viaggio, questo di Paleari, nella storia, nella letteratura e tra la gente di quei luoghi, secondo la lezione di Bruce Chatwin (1940-1989) che qui è impossibile non citare. “Tutte le nostre attività”, scrisse Bruce, “sono legate all’idea del viaggio. E a me piace pensare che il nostro cervello abbia un sistema informativo che ci dà ordini per il cammino, e qui sta la molla della nostra irrequietezza”. Potrebbe essere anche il caso di Paleari che compie in questo nuovo libro, al pari di Chatwin, un’autoanalisi della sua irrequietezza temperata da una spiritualità legata alla natura, alla bellezza, all’arte, alla solitudine e alla contemplazione. Con la discrezione che lo contraddistingue, Alberto racconta cammin facendo anche di sua madre che trascorse da quelle parti gli ultimi anni e che di quando in quando compare nei suoi scritti, di Livia che lo accompagna (“è sempre lei a parlare con la gente”), dell’amatissima figlia, di quel profumo del mosto che gli ricorda la gioventù e gli ha ispirato un imperdibile romanzo-confessione (“La montagne e il profumo del mosto”, Monte Rosa edizioni, 2015). Niente scalate questa volta: ma questo particolare non esclude che il viaggio, in certi punti avventuroso, impegni anche fisicamente Alberto e chi lo accompagna. Come, del resto, avviene sulle pendici calcaree dell’appartato Monte Fenera dove si trovano grotte abitate dall’uomo di Neanderthal tra gli ottantamila e i quarantamila anni fa. Fino ad approdare, con un repentino cambio di registro, a una misteriosa “casina di cioccolato” sita in un boschetto. E sempre con la speranza di avvistare l’amato Monte Rosa che tuttavia si nasconde dispettoso tra le nebbie… Le immagini dei dipinti ammirati strada facendo in chiese e cappelle sono sempre oggetto di approfondite e talvolta divertite analisi. Nel libro queste immagini svolgono quindi un ruolo importante e si susseguono di pagina in pagina in corrispondenza con il racconto (ma le didascalie, che peccato, sono tutte riunite in fondo e complicano un po’ la lettura). Per concludere, è un sentimento di “religiosità laica” quello che Paleari si attribuisce in questo viaggio che talvolta assume l’aspetto di un pellegrinaggio, come se sentisse il bisogno di giustificarsi. “Una religiosità vorrei dire umana, umanissima”, puntualizza, “in cui la divinità è l’uomo; divinità contingente e mortale, limitata, prigioniera della debolezza e della malattia, ma proprio per questo ancora più grande ed eroica”. E forse questo atteggiamento è il modo migliore per avvicinarsi, insieme con Paleari, a questi incantevoli Sacri monti che nel 2003 l’Unesco ha iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale. (Ser)

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