La corsa alla vita di Gianni, Silvio, Tiziana e gli altri

Tra i marmi e gli affreschi della sala Alessi a Palazzo Marino, gli sguardi sabato 25 febbraio 2017 erano puntati su Silvio, Gianni e Tiziana. Da Bergamo erano venuti a Milano a presentare le loro particolari esperienze in montagna al convegno “Incluse le vette” nel quadro del Forum delle Politiche Sociali organizzato fino a giovedì 2 marzo dal Comune. I sorrisi non tradivano il travaglio delle loro esistenze, niente che ricordasse quel terremoto che ci pervade quando i medici annunciano che la nostra vita è in serio pericolo e l’unica salvezza può nascere dai ferri del chirurgo. I tre amici, tutti di Bergamo, sono in realtà accomunati dalla sfortuna di avere subito un trapianto e dalla fortuna di esserne usciti nel pieno delle forze o quasi: quanto basta per affrontare salutari camminate in montagna, superando dislivelli che metterebbero alla prova i più allenati camminatori. Del terzetto, Silvio Calvi è la “mente”. Ingegnere, appassionato alpinista, già presidente della Sezione di Bergamo e consigliere centrale del Cai, è lui il carismatico animatore del programma denominato “A spasso con Luisa” mirato “a ristabilire la confidenza del trapiantato nelle proprie risorse fisiche e a misurare con idonei test i possibili miglioramenti nelle condizioni fisiche e del benessere psicofisico” come si legge in un opuscolo. Da due anni a promuovere il programma è l’ASST Papa Giovanni XXIII, in collaborazione con la Commissione medica del CAI di Bergamo, con la supervisione del Coordinamento prelievo e trapianto di organi e tessuti, la collaborazione della Medicina dello sport, della Psicologia clinica e dei Centri trapianto di rene, fegato e cuore.

I “tre moschettieri” come si sono definiti a Palazzo Marino gli amici trapiantati, hanno voluto portare la loro testimonianza offrendo alla comunità dei “diversamente normali” il conforto della loro salutare esperienza. Gianni Alfieri è il veterano fra i tre avendo subito un trapianto da 13 anni, Silvio Calvi naviga verso il dodicesimo anno mentre Tiziana Negri è la recluta con due anni di “anzianità. “Tiziana faceva il medico, ma è stata messa a riposo dopo la sua malattia: il trapianto è arrivato dopo un bel po’ di tribolazioni”, riferisce Calvi. Qui a seguire pubblichiamo la testimonianza della straordinaria esperienza dell’ingegnere alpinista bergamasco. Una lettura appassionante, istruttiva e in qualche punto commovente. Una raccomandazione: non perdetene nemmeno una riga, fate che diventi virale! (Ser)

Incontro fra “tre moschettieri” trapiantati al Forum delle Politiche Sociali in programma a Milano: da sinistra Gianni Alfieri, Tiziana Negri e Silvio Calvi (ph. Serafin/MountCity)

Quel nostro desiderio di metterci in gioco…

Questa è la storia bella di un gruppo di persone speciali che si sono messe in cammino sulle montagne bergamasche per una serie di escursioni nella primavera del 2015 e del 2016. Di solito sulle montagne si trovano gruppi di amici, ragazzi, giovani, anziani, ma un gruppo selezionato solo perché i componenti hanno avuto un trapianto d’organo (cuore, fegato o rene) non si era ancora visto. Certamente non è la prima volta che una persona, dopo il trapianto, riprende una vita normale, continuando con le attività che amava. Sono anch’io uno di questi: ho avuto un trapianto di fegato nel gennaio 2006 e sei mesi dopo ero in Caucaso, lontano degli ospedali non appena il protocollo medico me lo ha permesso. Certo, non per tutti è così, perché in fondo un po’ di paura c’è sempre e si ha sempre il dubbio che l’esercizio fisico possa avere conseguenze imprevedibili sul proprio fisico. Magari per non rischiare si evita allora di fare qualsiasi sforzo, lentamente riducendo le proprie attitudini e capacità.

Silvio Calvi, autore di questa testimonianza, scruta l’orizzonte dal Canto Alto. Nella foto sopra il titolo un’escursione nelle Orobie del gruppo dei pazienti trapiantati.

Il sistema migliore per verificare le proprie capacità è mettersi alla prova e il Ministero della Salute ha avviato un programma intitolato “Trapianti e sport” per riportare il trapiantato all’esercizio fisico. A Bergamo, terra di montagna, ovviamente è nata una variante autoctona al programma ministeriale, facendo dell’escursionismo in montagna la molla per far scattare un programma originale. Si è avviato quasi per caso nel 2014, con due-tre escursioni nelle quali ho avuto il piacere di accompagnare un’amica, trapiantata di fegato da vent’anni, che non si era ancora rimessa sui sentieri dei monti. Così una volta a Valcanale, un’altra al rifugio Laghi Gemelli, una al rifugio Giampace, la cara Luisa si è ritrovata con la gioia di far fatica ed è nata l’idea di avviare un programma specifico. Poi nel settembre dello stesso anno il fegato di Luisa si è messo a fare le bizze costringendola a un nuovo trapianto, purtroppo senza successo e con esito fatale: a quel punto la molla è scattata del tutto, con l’impegno di portare a termine il progetto nel suo nome.

L’entusiasmo dei medici dell’Ospedale papa Giovanni XXIII ha fatto il resto. Il coordinatore dei trapianti, dottor Cossolini, ha condiviso l’idea e ha coinvolto il servizio di medicina dello Sport con il dottor Poggioli per trovare il modo di valutare innanzitutto l’effettiva possibilità fisica di fare sforzi fisici e poi, a escursioni finite, di valutare con parametri clinici il possibile guadagno. Non contento, ha poi segnalato l’iniziativa al servizio di Psicologia Clinica per valutare i risvolti psicologici dell’esercizio fisico lento e continuo, come l’andare in montagna.

A questo punto la bella idea ha preso forma, aiutata anche dal fatto che il mio passato da presidente del CAI mi facilitava sia nell’individuazione di percorsi adatti che nei contatti con i rifugisti per ottenere il massimo supporto. Gli amici della Commissione medica del CAI si sono aggiunti nel sostegno all’iniziativa. Lo schema del programma è stato quindi quello di avere un’escursione ogni 15 giorni, con possibilità di recupero nella domenica intermedia in caso di maltempo. I percorsi sono stati con difficoltà progressive dai primi, con 400-500 metri di dislivello, agli ultimi con 1.000 metri secchi di salita e discesa. Pranzo sul posto ospitati nei rifugi che sezioni e sottosezioni del CAI e associazioni varie hanno ormai moltiplicato a dismisura sui nostri monti.

Per far le cose per bene è servito anche il parere del Comitato Etico dell’Ospedale HPGXXIII, dato che si trattava di un’attività che coinvolgeva pazienti. Ma quali pazienti? Come coinvolgerli, come ottenere l’adesione? Una presentazione ufficiale alla stampa ha dato il lancio all’iniziativa e il manifesto nei reparti interessati dell’ospedale ha messo un po’ di persone in condizioni di sapere che cosa bolliva in pentola: non potevano essere tanti i partecipanti perché erano necessarie tutte le visite mediche e i colloqui di supporto; in breve il numero programmato di 15 partecipanti è stato raggiunto.

Tiziana Negri, assidua camminatrice, ha subito un trapianto due anni fa.

I colloqui e le visite hanno messo in evidenza come per tutti il desiderio era di mettersi in gioco, di provare i propri limiti pur riconoscendo le proprie paure. Adesioni sono venute anche da ospedali fuori provincia. Le visite mediche presso la Medicina dello Sport hanno trasformato i trapiantati in veri atleti: i test da sforzo sul cicloergometro con carico crescente ogni 4 minuti hanno fatto capire meglio i termini che ritornano nelle cronache ciclistiche di potenza muscolare, watt, ecc.

Nello stesso tempo i test sul sangue facevano capire termini come lattato e sforzo aerobico. Il tutto per verificare l’idoneità all’attività sportiva, manco fossimo atleti veri. Subito dopo i colloqui con lo psicologo, per riprendere confidenza e fiducia nelle proprie risorse e nel proprio corpo, concludendo il tutto con un “focus group” per valutare le possibili conseguenze dell’attività in montagna, creando un clima di collaborazione e fiducia fra tutti i partecipanti

E via per la prima uscita, coinvolgendo la famiglia di Luisa e andando al pizzo Formico e al rifugio Parafulmine sopra Gandino: per alcuni addirittura la prima salita su una cima, non essendo mai andati in montagna in assoluto: guardavo il modo di camminare di tutti e mi chiedevo: ce la faranno? La discesa ha cominciato a fare le prime vittime con le vesciche e il male ai muscoli, ma il gruppo ormai si era formato e compattato, con un mix di trapiantati e di accompagnatori, familiari , medici e infermieri interessati all’esperienza. Dopo di quello in successione il Canto Alto, il rifugio Gherardi, la baita Golla, la Valcanale, il rifugio Albani e infine la gita finale con pernottamento ai Laghi Gemelli, sempre assistiti da tempo idoneo per le escursioni, pur con qualche minaccia di pioggia lungo il percorso: le Orobie sono così. Un esempio? La salita al Canto Alto è stata più una salita dentro se stessi che una salita a contatto della paesaggio bergamasco: una fitta nebbia ci ha avvolto fin dai primi passi e non abbiamo potuto vedere nulla del paesaggio della pianura bergamasca.

Calvi incontra Gian Celso Agazzi della Commissione medica del Cai al Forum delle Politiche sociali (ph. Serafin/MountCity)

L’ospitalità di chi ci ha accolto nei vari rifugi è stata significativa: loro stessi non credevano che si trattava di un gruppo di persone che hanno ricevuto trapianti d’organo. Quanto ai partecipanti, gli incidenti di percorso sono stati i classici della montagna: vesciche e un episodio di crampi nella salita al rifugio Albani.

Sotto l’aspetto psicologico, al di là di quello che i medici hanno potuto rilevare, il risultato è stato positivo al 100%. Uno dei partecipanti, felice di aver superato le prove, ha voluto chiedere ai medici dello sport addirittura l’idoneità alla pratica sportiva agonistica, a testimonianza dell’effetto benefico dell’esperienza. Tutti hanno confermato di voler continuare individualmente con le escursioni.

C’era anche un trapiantato di cuore, il che mi dava qualche preoccupazione ulteriore: in effetti mi ha confidato che per esempio salendo all’Albani non gli veniva su il fiato, ma era un modo diverso rispetto a quando era in attesa del trapianto. Allora, quando si fermava per riposarsi, non recuperava affatto, anzi la difficoltà di respiro si accentuava, Ora invece bastava un minimo di riposo e il recupero era fatto.

Trapiantati e donatori di organi sulla vetta del Grignone in veste invernale. Neanche le avversità atmosferiche possono fermarli…

Fra le persone che hanno seguito l’esperienza, vale la pena di citare il sindaco di Carona, che alla notizia che andavamo al rifugio Laghi Gemelli ha sgranato gli occhi e ha chiesto “Come a piedi?”. Oppure il commento di un’infermiera che ha partecipato alle uscite e che ha commentato “Vedere l’entusiasmo nel salire in montagna ti fa tornare l’entusiasmo per il lavoro che faccio: vedo i risultati della mia fatica negli occhi di questi trapiantati”.

Saranno stati anche trapiantati, ma certamente un’esperienza di escursioni così ravvicinate e con così tanto controllo medico non è mai stata effettuata, per quello che so, nemmeno per persone senza alcun problema medico e in piena salute. Oltretutto la stagione primaverile ha consentito di vedere in tutto il suo splendore il progressivo esplodere della natura, con i primi timidi fiori alle uscite iniziali e la fioritura finale dei rododendri: questa è stata un’esperienza unica ed impagabile, che ha compensato di tante fatiche.

Non contenti della prima esperienza nel 2015, il programma ha dilatato i suoi orizzonti nel 2016, con altri partecipanti, spronati a mettersi in gioco dalle esperienze raccontate. Da 13 partecipanti sono diventati 18 nel 2016 e quest’anno siamo a 25: il reparto di Medicina dello Sport è bloccato per un mese per completare tute le visite: l’ospedale ci tiene ai suoi pazienti e certamente l’attività sportiva farà diminuire la necessità di altre cure.

In fondo ci siamo soprattutto divertiti e abbiamo dimostrato per la soddisfazione anche dei medici, che il trapiantato è una persona normale, che può riprendere la vita in pieno, con le sue paure e i suoi rischi e le sue gioie: basta mettersi in gioco e non nascondersi.

Silvio Calvi

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