Salve dopo 37 giorni. Le sepolte vive di Bergemoletto
Viene considerata un’anomalia termica quella in cui è incappata l’Italia centrale nelle prime due decadi di febbraio 2017 con l’aggiunta degli effetti devastanti del terremoto. Ma il 19 marzo 1755, festività di San Giuseppe, quando un’enorme valanga si abbatté su Bergemoletto, in valle Stura, distruggendo più di 30 case e provocando 22 vittime tra gli abitanti del luogo, quell’evento, pur drammatico, non venne considerato così eccezionale.
Quello che invece rese famosa e, ancor oggi, ricordata come eccezionale la sciagura di Bergemoletto fu che tre delle delle ventidue persone sepolte sotto l’enorme massa di neve (ben 18 metri) furono trovate vive il successivo 25 aprile, ovvero 37 giorni dopo il disastro. Il miracolo delle tre donne sopravvissute oggi non può che attirare l’attenzione mentre prosegue lo stillicidio accorante di notizie sui sepolti vivi dell’albergo Rigopiano.
Un’attenzione che si denota nei media con la riscoperta della ricostruzione fatta nel 2004 in “Soccorsi in montagna” di Roberto e Matteo Serafin della vicenda della donna canadese ritrovata in quel di Macugnaga dopo 72 ore di sepoltura grazie al fiuto del cane Zacho (https://mountcity.it/index.php/2015/04/14/sopravvissuti-la-canadese-sepolta-sotto-una-valanga-per-72-ore-a-macugnaga-e-salvata-grazie-al-fiuto-di-zacho/ ).
Credere ai miracoli non costa nulla e può alimentare quella speranza che non può che essere l’ultima a morire in queste tragiche circostanze.

Alla valanga del Bergemoletto, riesumata nel 2005 durante una storica “Giornata bianca” organizzata al Palamonti di Bergamo, è dedicato il libro di Pietro Spirito “La grande valanga del Bergemoletto” pubblicato nel 1995 nella collana dei Licheni dell’editore Vivalda. Un libro che ricostruisce ambienti e caratteri del tempo, nell’intento di dare voce ai protagonisti di una storia la cui memoria è ancora oggi viva tra gli abitanti della Valle Stura.
Dell’evento si occupa anche il volume, oggi ormai introvabile, di Lorenzo Bersezio “Le streghe in bianco” (Edizioni Obiettivo Neve, 2004). Le sepolte del Bergemoletto si chiamavano Anna Maria, Anna e Margherita. Con loro c’era anche un bambino, Antonio, che tuttavia perse la vita. “A tutt’oggi”, puntualizza Bersezio, “questo di 27 giorni è il record assoluto di sopravvivenza sotto una slavina, seppure non a contatto diretto con la neve, in quanto le tre vittime immerse nell’oscurità più assoluta disponevano di un antro lungo tre metri e mezzo, largo due e mezzo e alto uno e mezzo”.

La sopravvivenza delle tre donne si spiega col fatto che bevvero il latte di una capretta sepolta con loro e, insieme, la neve che riuscivano a sciogliere. Ben presto le tre donne persero ogni cognizione del tempo. Una seconda capra che era con loro partorì (il capretto fu subito ucciso) e dal parto dell’animale le sepolte capirono che doveva essere la metà di aprile e cominciarono a sperare di essere ritrovate con il disgelo. E così per fortuna accadde: il 25 aprile attraverso un varco nella neve Antonio Bruno, fratello di Anna Maria, riuscì a ritrovarle.
L’evento venne descritto dallo scienziato Ignazio Somis (1718-1793) che studiò gli aspetti fisici e medici e nel 1757 volle incontrare le sopravvissute. Nel 1913 Bernardo Chiara nel volume “Sessanta giorni in montagna” mise anche a fuoco il sogno telepatico tra la sorella sommersa e il fratello, un sogno che sarebbe alla base della ripresa delle ricerche al Bergemoletto.
“Vi è un confine”, è il commento di Lorenzo Bersezio nel libro citato, “oltre cui il segnale della paura non è più percepito, sia perché inutile, sia perché vi è una linea che demarca l’inoperosità dei nostri sentimenti…”. A sua volta Pietro Spirito sottolinea come nell’ambito degli stanziamenti per gli indennizzi alle famiglie colpite dalla valanga del Bergemoletto, “fu disposto il pagamento dei circa trecento soccorritori che parteciparono alle operazioni di scavo tra marzo e aprile”. (Ser)