Marmolada e confini, la guerra continua
Niente nuovi impianti sul versante nord della Marmolada. Questa la posizione della Fondazione Dolomiti Unesco che prima delle festività natalizie 2016 è intervenuta – come previsto dalle procedure – nella preparazione del piano di sviluppo del ghiacciaio della Marmolada. L’ipotesi di realizzare nuovi impianti sul ghiacciaio (sebbene nell’ambito di un progetto di riqualificazione complessiva) potrebbe, a quanto si apprende, pregiudicare l’integrità dell’area tutelata dall’Unesco, con effetti a cascata su tutti gli altri gruppi dolomitici inseriti tra i patrimoni dell’umanità. “Perché”, scrive la Fondazione, “le Dolomiti sono iscritte come un bene seriale, cioè come un bene unico”. Insomma, alla verifica Unesco se non si rispettano i patti siglati nel 2009 si rischia di finire bocciati e di perdere la faccia. Dal canto suo Mountain Wilderness, che segue da anni le grandi manovre sulla Regina delle Dolomiti, è decisa a chiedere a Parigi, qualora non sussistano le condizioni previste dai protocolli, la sospensione del patrocinio UNESCO su tutto il territorio.
La Provincia autonoma di Trento ha ordinato il via libera al programma di sviluppo del ghiacciaio della Marmolada, ma con una serie di prescrizioni (di cui il quotidiano “Il Trentino” ha dato notizia sull’edizione di sabato 24 dicembre 2016) che di fatto rappresenterebbero una clamorosa retromarcia. Alcuni esempi? Tutte le scelte operate nell’ambito del programma saranno soggette a “specifici approfondimenti in fase di progetto” e soprattutto, per quanto riguarda i nuovi impianti (e la razionalizzazione di quelli esistenti), servirà un accordo con il Veneto. Della battaglia fra Trento e Venezia sui confini della Marmolada si parlava già negli anni Settanta e solo nei primi anni Duemila si è trovato un accordo. Era il mese di marzo 2002. Il Consiglio di Stato concluse la vicenda dei confini in Marmolada fra Trentino e Veneto riprendendo tutte le sentenze precedenti favorevoli a Trento. Il confine fra Regione e Provincia autonoma partì dunque da Punta Rocca per seguire la cresta sulla parete Sud fino a Serauta. Tutto il ghiacciaio da quel momento fu trentino. E fino a quel punto agli ambientalisti andava bene tale decisione in quanto gli attentati ambientali alla Marmolada erano sempre partiti dal Veneto mentre il Trentino sembrava offrire maggiori garanzie di tutela.
13 maggio 2002. A Serauta il presidente della Provincia di Trento Lorenzo Dellai e il presidente della Regione Veneto Gianfranco Galan firmano un accordo dove si dice che le due istituzioni lavoreranno al rilancio della montagna, collaborando, e che si arriverà ad avere un collegamento (mai specificato) fra area sciabile veneta e trentina. L’accordo non scritto prevede che Trento offra al Veneto dai 30 ai 60 metri di ghiacciaio, cioè che si discosti dalla linea di cresta prevista dalla sentenza, per non disturbare impiantisti e amministratori veneti nella gestione della funivia. Trento ha in effetti, in questo caso, modificato il confine regalando ai veneti spazi importanti di ghiacciaio.
Questi gli antefatti. Oggi la trentina Canazei punta a realizzare un impianto da Fedaja a Punta Rocca con un tunnel da Passo Pordoi a Fedaja per avere il collegamento con il giro del Sella. Grazie a Mountain Wilderness che segue tutte le procedure, la Fondazione Dolomiti Unesco ha però emanato un documento che boccia ogni proposta invasiva della Marmolada e analogo passo viene compiuto da tutti i CAI dolomitici (SAT, CAI Friuli, Veneto, Bolzano, Alpenverein). Con l’appoggio di Superski Dolomiti si traccia ora un collegamento fra Arabba e Porta Vescovo, per scendere con una pista a Fedaja mentre una nuova funivia è diretta a Punta Rocca.
Ed eccoci ai nostri giorni. Il 2 dicembre 2016 a Venezia tecnici e politici trentini chiedono alla Regione Veneto di riconcedere quanto è di loro spettanza. Il Veneto dice no e si rompe il tavolo di lavoro. Il confine reale risulta quello stabilito dal Consiglio di Stato nel 2002 e ratificato dalla Presidenza della Repubblica. Il Veneto non vuole però perdere un metro di ghiacciaio per non correre il rischio di avere accanto alla attuale funivia un impianto concorrente trentino. Il Piano Urbanistico provinciale di Trento nel frattempo ha ratificato i confini dell’accordo Dellai – Galan, che quindi è legge. Ma legge che non reggerebbe ad alcun confronto giudiziario.
In questo oscuro teatro Mountain Wilderness non è stato solo un partito del NO. Ha lavorato con la Rete delle Riserve di Fassa, finalmente attiva e propositiva. Da sempre (1998) ha chiesto la riqualificazione della intera montagna, l’avvio di un serio piano di sviluppo alternativo, la riqualificazione paesaggistica del territorio, il rifacimento della attuale bidonvia e della seggiovia su territorio bellunese attraverso una semplificazione (riduzione) delle strutture presenti. L’accordo di MW con la società funiviaria Marmolada Tofana prevede anche l’avvio di un nuovo turismo, di un rilancio culturale e professionale degli operatori locali. Tutto questo però rimane al palo e riporta ai tempi del conflitto più aspro.
Ora per lo sviluppo funiviario della Marmolada i “se” e i “ma” sono così tanti che il nuovo impianto da passo Fedaia a Sass Bianch (passando da pian dei Fiacconi), a cui la Provincia ha dato formalmente il via libera con una delibera proposta dall’assessore provinciale Carlo Daldoss, rischia di non diventare realtà. La valle di Fassa dovrà incassare il colpo, mentre sul versante veneto il presidente delle funivie Mario Vascellari ha buoni motivi per festeggiare: per salire in vetta alla Regina (in funivia) i turisti continueranno a partire da Malga Ciapela (Belluno). In media i passaggi sono 40 mila d’estate e 300 mila durante la stagione dello sci.