Le tante vite di Rolly. Dimenticata la valanga, diventa Ironman

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Rolly Cotti in sella e, nella foto sopra il titolo, mentre raggiunge il traguardo di un triathlon.

Appena dimesso ancora zoppicante dall’ospedale, Roberto “Rolly” Cotti si recò nel 2008 al Palamonti di Bergamo per raccontare a un convegno di medici di montagna la sua disavventura. Pochi mesi prima era rimasto sotto una valanga in Valgrisanche durante una scialpinistica. Lo tirarono fuori in extremis e piuttosto malconcio dopo cinque minuti di ricerche. Sarebbe tornato in montagna? Chissà. Oggi Rolly, ingegnere elettronico milanese, 51 anni, sposato con due figli, si dedica alle maratone e, ultimamente, al triatlon. Un ironman in piena regola, come spiega Paolo Foschini sul Corriere intervistandolo. Si apprende così che il tostissimo Rolly, istruttore della SEM, di maratone ne ha finora fatte sei. E da qualche settimana è anche ufficialmente un Ironman dopo avere partecipato a una gara composta da 4 km a nuoto più 180 in bici più 42 (e 195 metri, cioè una maratona) di corsa. Tutto in un giorno. “Ma la vera gara”, ha raccontato Rolly al giornalista, “non è la gara. Sono i nome mesi di allenamento che servono a farla. La sfida alla fatica fisica è una maestra di vita”.

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Sulla sedia a rotelle dopo l’incidente in valanga accanto a una donna dei suoi sogni. Ma è solo un fotomontaggio!

E’ probabile che l’aver vinto la sfida con la morte abbia dato a Rolly un surplus di fiducia nei suoi mezzi, dando fondo a quella grinta che ha sempre covato dietro la sua pacatezza. O perlomeno piace pensarlo. Una possibile spiegazione? Sepolto dalla neve quel giorno del 2008, Cotti ha per prima cosa rifiutato l’idea di essere spacciato. “C’è stato un inizio di rassegnazione, forse”, ha raccontato. “Poi ha prevalso la certezza che ce l’avrei fatta. Da lì tutti gli sforzi si sono concentrati sullo stare calmo, sul respirare piano, sul consumare il meno possibile, sullo stare vivo”. Tra i tanti modi per sentirsi vivo, oggi Cotti ha scelto quello di correre, mettendo sul conto l’inevitabile sofferenza. “No pain, non gain” dicono gli allenatori americani di football. Che vittoria può mai essere quella guadagnata senza soffrire?

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