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Quassù il paradiso, laggiù l’inferno

Quassù nelle Alpi Retiche le vallate risplendono di mille colori, il sole disegna ombre lunghe, le creste sono screziate di neve. Un paradiso, insomma, che in questo autunno 2016 contrasta con le immagini degli Appennini sconvolti dalle scosse di terremoto, più di cento finora. La più forte di magnitudo 3,5 è stata registrata nei pressi di Ussita, alle pendici dei Sibillini in procinto di ammantarsi di neve. Nel parco nazionale di montagna dei Sibillini è passato la scorsa estate il trekking/staffetta di Mountain Wilderness Italia in difesa delle aree protette ed è logico che gli aderenti all’attivissima associazione ambientalista ora annuncino di volersi mobilitare per aprire una sottoscrizione, una delle tante che fanno breccia in questi giorni nel cuore degli italiani, quelli più fortunati che vivono nelle aree dove la terra non trema.

“Dobbiamo molto a quella popolazione”, spiegano i soci di MW, “e molto abbiamo goduto della loro ospitalità e della bellezza di quelle montagne. Molti nostri amici e sostenitori hanno perduto casa e sono in alberghi della costa o emigrati altrove. Le preziosità architettoniche, uniche e irripetibili, sono andate in gran parte distrutte”.

I Sibillini nel momento in cui questo articolo viene postato sono irraggiungibili così come Norcia, Visso, Ussita, Casali, Castel Sant’Angelo. Proprio quest’ultimo borgo potrebbe essere oggetto dell’auspicata raccolta fondi di Mountain Wilderness: è un piccolo meraviglioso centro da cui nasce il Nera, il fiume che unisce due regioni. Nelle pagine del Corriere della Sera del 28 ottobre appare intanto un accorato invito di Marco Rinaldi, sindaco di Ussita. “Il terremoto fa paura”, spiega il sindaco, “ma noi non scapperemo, anzi farò di tutto per salvare il nostro turismo e i posti di lavoro. Qui abbiamo cinque seggiovie e 20 chilometri di piste. Chiedo agli italiani di venire tutti a sciare sul Monte Bove quest’inverno”.

Nel suo piccolo, mountcity.it non può che contribuire passando parola fra i suoi 25 lettori. Purché il turismo bianco invocato come una panacea non si trasformi in qualcosa di diverso e perverso, un vagabondare tra le rovine della grande tragedia come era avvenuto nel 1961 quando l’area devastata dalla furia del Vajont venne invasa da un’ondata di curiosi. (Ser)

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