Quelle criminali trappole anti-ciclisti sui sentieri
Tremenda è la notizia che nei boschi del Piemonte qualche criminale tende cavi di nylon o di filo di ferro anti-ciclisti ad altezza d’uomo, ma non va ignorato quanto sia da sempre difficile la convivenza tra chi frequenta, a piedi o su due ruote, i percorsi di montagna. “Da Novara al Circeo, dal Vesuvio al Conero”, spiega Federica Cravero sulla Stampa del 10 ottobre 2016, “le cronache raccolgono una vasta collezione di ostacoli piazzati apposta per far male ai ciclisti: filo spinato o cavi d’acciaio, rami piegati sui sentieri o cocci di vetro lasciati a terra”. E’ doloroso che si sia trasceso fino a questo punto e anche chi sta dalla parte dei bipedi appiedati non può che augurarsi che prevalga quel rispetto reciproco fin qui abbastanza diffuso. Fin dalla nascita della mountain bike (anni Settanta) che i francesi chiamano “VTT”, acronimo di Vélo Tout Terrain, ci si è posti il problema della convivenza “su tutti i terreni” tra ciclisti ed escursionisti a piedi. I codici di comportamento non a caso si sprecano: raccomandano in genere che le tecniche di guida siano ecocompatibili, evitando manovre dannose quali, ad esempio, la derapata (bloccaggio della ruota posteriore). Ed è palese che la velocità di conduzione debba essere commisurata alle capacità personali, alla visibilità e alle condizioni del percorso, in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri.

E’ invece accertato che spesso e volentieri, sui sentieri, i ciclisti si comportano come o peggio dei motociclisti. Vogliono la strada a tutti i costi anche se non usano scampanellare e piombano all’improvviso alle spalle. Sui sentieri Grand Randonnée francesi compaiono cartelli che invitano a fare attenzione ai ciclisti: come se si trattasse di calamità naturali, come se fossero degli extraterrestri capitati chissà da dove! Purtroppo sta malauguratamente montando la rabbia degli escursionisti che risalendo lentamente i pendii scoscesi si trovano di fronte, all’improvviso, bici che sfrecciano come proiettili su sentieri larghi poche decine di centimetri. Bici difficili da controllare, occorre aggiungere, cavalli d’acciaio che s’imbizzarriscono sul terreno sconnesso e scosceso. Un pedalatore intervistato dal quotidiano citato ammette: “Quando scendi in bici su un sentiero, se improvvisamente vedi un ostacolo, non fai più in tempo a frenare per evitarlo. Nel bosco, tutto può rappresentare un pericolo: un animale, un albero o un masso caduti sul sentiero, una radice che ha perso la corteccia e diventa scivolosa come una lastra di ghiaccio”. E anche, si vorrebbe aggiungere, un bipede sbucato nella penombra, immerso nei suoi pensieri e un po’ ansimante per la salita. Ma questo non giustifica le efferate trappole tese agli amici ciclisti che quasi sempre, incrociando i pedoni, cercano di limitare il disturbo, consapevoli che un po’ di disturbo lo danno.
Piuttosto, sulle Alpi ci sono molti bike park attrezzati con impianti di risalita, che permettono di fare più volte in una stessa giornata percorsi progettati apposta per il downhill, con salti e altri ostacoli. Ideali se proprio non si sa resistere al demone della velocità. Porre un freno alla cultura dell’eccesso, del resto, è un imperativo per certi scatenati bikers, sedotti dalle immagini spericolate di Youtube. (Ser)
Criminalità di sicuro!
Ma i ciclisti si fanno ogni tanto, come dovrebbero farsi sempre tutti, un’esame del loro comportamento?
Anche a me sembra che spesso sulle strade e talvolta sui sentieri si comportino senza tener conto degli altri.
Spero che i politici non ci mettano il naso altrimenti tutto si ingarbuglierà a discapito dei ciclisti e degli escursionisti.
Basterebbe sempre così poco, basterebbe una piccola dose di rispetto per gli altri.
O tutto è frustrazione e perversione nella tremenda voglia di apparire.
E’ il nulla trionfante?
Ende aveva cercato di spiegarlo in vari modi tanti anni fa.