Pic nic (con fantasmi) al Devero
Il rudere dell’albergo Cervandone all’Alpe Devero tristemente scoperchiato, con le finestre ridotte a tetre occhiaie, è quanto rimane dopo l’incendio probabilmente doloso del dicembre 2015. D’estate sul prato una comitiva di gitanti fa pic nic a due passi dal rudere, incurante di questo inquietante biglietto da visita che accoglie, nel paradiso delle Alpi Lepontine, la fiumana di turisti estivi: le migliaia, perlomeno, che sono riuscite a trovare parcheggio per l’auto mettendosi pazientemente in coda alla sbarra (5 euro la tariffa quotidiana) o che sono riusciti a salire sgomitando sulla navetta in partenza da Baceno. Prima che si incendiasse, da tempo l’albergo Cervandone, di proprietà del comune di Baceno e della Regione Piemonte, era stato abbandonato e solo gli amministratori possedevano la chiave per entrare. Come ha fatto quella notte d’inverno a prendere fuoco?. “C’era qualcuno là dentro”, ripete il barista della vicina Locanda Fattorini, evidentemente stufo di sentirsi chiedere la sua versione sul misterioso piromane. Certamente qualcuno che un fantasma non poteva certo essere. E che da allora le forze dell’ordine stanno cercando invano di identificare. Chi può aver ridotto a uno squallido, inquietante rudere una delle testimonianze più significative degli albori del turismo nell’Ossola? E perché? Ed eventualmente per conto di chi? E di quali interessi?

Il luogo è di una bellezza assoluta in questo affollato angolo delle Lepontine e qualcuno dotato di mezzi può forse avere pensato, con buone ragioni, di far risorgere l’albergo Cervandone in veste moderna, con immancabile piscina e area wellness. O non sarà invece che la sorte del Cervandone seguirà quella dello storico Rifugio Guglielmina al Col d’Olen, demolito dopo essersi incendiato nel 2010? Dal 1972 vani sono stati i progetti di riaprire questa grande e, ammettiamolo, poco attraente struttura che si affaccia sulla verde conca del Devero e porta il nome della vetta di oltre tremila metri che si erge imperiosa. L’albergo, con i fantasmi che vi alloggiano, è stato fino al 2003 di proprietà dell’Enel per poi passare al comune di Baceno e alla Regione Piemonte. Ma non c’è stato verso di ridargli vita. Finché qualcuno ha pensato di dargli i colpo di grazia. Eppure, ritrovo di alpinisti e di famiglie cittadine amanti della montagna ossolana, il Cervandone inteso come albergo è stato un simbolo alpestre della Belle Epoque e degli anni Trenta. La buona cucina premiava a quei tempi gli audaci scalatori e fiumi di spumante scorrevano in loro onore mentre le orchestrine suonavano valzer e mazurke fino alle ore piccole. Alla montagna che svetta sull’Alpe Devero dedicò in quegli anni una canzone per canto e pianoforte il cavalier Giovanni Leoni (1846-1920) che, poco convinto del proprio talento musicale, si nascose sotto lo pseudonimo di “Pastizza”.

Leoni fu il fervido autore delle “Rime Ossolane” firmandosi in quel caso semplicemente con il nomignolo di Torototela. Definito il “vate dell’Ossola”, ebbe peraltro il merito di avere fondato nel 1910 la Società Pro Devero per promuovere lo sviluppo turistico di questo incantevole paradiso. “Paradis di nost montagn, che in nissun sit igh n’han un alt compagn”, come lui stesso lo definì enfaticamente nel dialetto ossolano. Anche per questa sua lungimiranza d’imprenditore, il vate dell’Ossola meriterebbe oggi di essere ricordato con un segno tangibile (una targa, un busto di bronzo?) in questo polmone verde dove in agosto tanta gente sale dalla pianura in cerca di frescura. E’ davvero un posto paradisiaco il Devero e non ci si stanca di tornarci per vagabondare tra un alpeggio e l’altro, assistere al tramonto in val Buscagna, specchiarsi nelle acque del lago Nero, deliziarsi fra le pietraie del Pian della Rossa o nella remota Val Deserta, risalire la meravigliosa mulattiera che partendo da Goglio s’insinua tra i precipizi, attraversare il Grande Est fra torbiere e pascoli. I sentieri sono conservati con ammirevole cura per evitare e contrastare il logorio del continuo passaggio, le baite vengono restaurate con metodi rigorosamente tradizionali, compresa la sapiente disposizione delle speciali beole sui tetti che vengono fatte arrivare dal vicino Vallese perché più rispondenti alle caratteristiche originali. L’area è inserita dall’Unione Europea tra i Siti di Interesse Comunitario e tra le Zone di Protezione Speciale, e tutti noi dobbiamo frequentarla in modo rispettoso, quasi in punta di piedi. (Ser)