L’arrampicata ai tempi di instagram
Il 1976 fu il mio primo anno tra i sassi. In paese, San Martino, ricordo un bar scalcinato con gazzose, sigarette e tavolini di formica, un parroco burbero che, a potere, avrebbe detto ancora la messa in latino, l’improvviso rimbombo delle mine dalle cave non troppo distanti. Più su in valle, la Val di Mello, la musica cambiava. C’erano solo farfalle, silenzio, prati di bistorta e i pastori melàtt, che con quelli di San Martino non c’entravano niente. Nemmeno un turista. A dire il vero, c’erano dei ragazzi matti, si diceva, che andavano sulle piode là in alto, uno pare era di Milano. E c’eravamo noi, un po’ più piccoli ma mica di tanto, che andavamo sui sassi perché i sassi erano lì come grossi balocchi abbandonati, a disposizione del primo bambino che volesse giocarci. La scoperta dell’aderenza. Un passaggio strapiombante. Il volo nella pozza. Uno spasso. Ci sono video, foto, tracce audio di quell’estate? No, solo ricordi.

“Non mi stupisce che in questi 40 anni l’arrampicata sia cambiata” dice Maurizio Oviglia in un suo bell’articolo apparso su Planet Mountain (L’antisociale e l’arrampicata). E sottolinea come a cambiare siano state soprattutto le motivazioni: un tempo si arrampicava per starsene in solitudine, oggi per socializzare: “Ci sono aggregazioni più o meno grandi di climbers che fanno capo ad una palestra, ad un gruppo facebook, whats app o ad un’associazione, che si muovono compatti da una parete all’altra”. Tutto vero, ma c’è di più. Torniamo alla Val di Mello, che è un esempio calzante di questo cambiamento. I sassisti (mica noi, quelli bravi) hanno rivoluzionato il mondo dell’arrampicata e oggi assistiamo all’ultimo stadio della rivoluzione, che ha preso una deriva decisamente social: Melloblocco da 13 anni porta in valle migliaia di ragazzi con l’orecchino e ragazze con l’apparecchio fisso ai denti (o viceversa), in un party collettivo che ricorda più i raduni del Parco Lambro (era il 1976, guarda un po’) che una manifestazione sportiva. C’è molto meno silenzio e molta più aggregazione. Io da qualche anno non vado più in Val di Mello, e Melloblocco me lo vivo comodamente dal mio computer. È questo, a mio parere, il segnale di cambiamento più forte nel mondo del climbing. Non la socializzazione. Non la festa mobile. Ma la riduzione dell’esperienza a qualche milione o miliardo di byte. Come ogni altro aspetto della vita contemporanea, anche l’alpinismo, in particolare l’arrampicata sportiva e ancora di più il bouldering, è diventato oggetto di riproduzione seriale sui social. Melloblocco dura pochi giorni, invece melloblocco.it è sempre lì a portata di click, e i ritratti e i gesti sulla roccia dei protagonisti continuano a vivere nei video e nelle foto postate su flickr. È più importante l’evento o la sua narrazione digitale? O meglio: esisterebbe l’evento senza quella narrazione? Oviglia termina il suo articolo dicendo di essere rimasto un antisociale, uno a cui piace ancora la montagna in solitudine. Antisociale sì, antisocial certamente no: infatti Oviglia, oltre a essere un bravissimo climber, è anche uno dei blogger italiani più attivi e dal suo eremo in Sardegna riesce sempre a essere nell’ombelico (elettronico) del mondo.

Oggi, ammettiamolo, la riproduzione digitale è tutto. Vimeo, ergo sum. Personalmente, non mi spiacerebbe avere qualche filmato in hd dei nostri “primi sassi”, anche se so che sarebbe imbarazzante. E un po’ invidio chi oggi ha sedici o vent’anni e gioca sulla roccia e sul proprio mobile con la stessa disinvoltura. Mi piace anche curiosare tra i profili instagram di Sasha DiGiulian (221.000 followers), di Ashima Shiraishi (87.000 followers), di Steph Davis (45.000 followers), che ci fanno partecipare in diretta alla loro vita, quella di sportive professionali, rock climbers, base jumpers, wing flyers, ma anche alle loro passioni private, cani, cibo, abiti, famiglia. A volte sono tentato di mettere un like sull’ultima aderentissima canottiera di Sasha, su un cucciolo di Steph, su una bibita di Ashima. Che c’è di male? Anche Bonatti e Rébuffat, vivessero oggi, sarebbero su instagram. Altrimenti, addio sponsor.
Paolo Paci
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