Alpi ribelli. E Tissi sfidò i fascisti
L’uscita di un libro di Enrico Camanni, evento fortunatamente piuttosto frequente, riaccende i fari su un settore editoriale, quello legato alla letteratura di montagna, piuttosto in ombra di questi tempi. Torinese, alpinista, giornalista, vicepresidente dell’Associazione “Dislivelli”, romanziere raffinato, autore d’importanti progetti museali, Camanni è per sua definizione uno scrittore “che si porta dentro un pezzo di montagna”. Un pezzo che emerge imperioso anche nella sua opera in libreria da giovedì 9 giugno 2016. Il tema è di attualità, le Alpi come rifugio e megafono delle anime libere, oggi mortificate da muri e fili spinati nel tentativo di porre un argine alle ondate dei migranti (leggete a questo proposito l’editoriale di Camanni sul numero di giugno di “Dislivelli” che potete tranquillamente scaricare sul vostro Pc). “Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza e utopia” (Laterza, 248 pagine, 18 euro) è il titolo del nuovissimo saggio di Camanni. Spazia dall’eroe Guglielmo Tell agli artigiani eretici che si sacrificarono con Fra Dolcino ai piedi del Monte Rosa, ai partigiani che fermarono i nazifascisti sulle montagne di Cuneo e Belluno, fino ai movimenti contemporanei “no Tav” contro il treno ad alta velocità in Valle di Susa. Per amichevole interessamento dell’autore, mountcity.it propone in anteprima la sintesi del capitolo dedicato ad Attilio Tissi, illustre protagonista delle scalate in Dolomiti che nel 1943 decise di unirsi alla Resistenza subendo le torture dei nazisti e oggi viene ricordato da un bellissimo rifugio ai piedi della Civetta.

Così lo racconta Camanni
Attilio Tissi non è un professionista della montagna, anzi è quasi un naif, ma ha classe da vendere. Sul sesto grado è concentrato e deciso. Velocissimo. Più istintuale che bello. Efficace. Con Giovanni Andrich si mette in luce scalando la mitica via di Solleder e Lettenbauer sulla parete nord ovest del Civetta, senza neanche bivaccare… L’avventura continua sullo spigolo della Torre Trieste, poi seguono gli appicchi del Pan di Zucchero e i vertiginosi strapiombi della Torre Venezia, sorella della Trieste. Sul Campanile di Brabante Tissi supera un passaggio che farà storia: sesto grado superiore. Tra Belluno e Cortina non c’è parete che resista alla risoluta calma del trentenne di Vallada, sempre in capo alla cordata. Scala con la precisione dell’artigiano e l’ispirazione dell’artista, piantando pochi chiodi di sicurezza. Quella ce l’ha dentro. La bella favola s’incrina alla fine dell’estate del 1933, quando Tissi cade con la motocicletta sulla strada della Val Cordevole e riporta gravi lesioni alla colonna vertebrale. I medici gli diagnosticano una vita da invalido, lui stringe i denti, guarisce e ritorna ad arrampicare. È sempre un bravo scalatore, ma non è più quello di prima. Ora scala soprattutto per il piacere della compagnia e per amore della natura. Dopo il 1935 va in montagna con la moglie Maria Guglielmini, detta Mariolina, che è donna di pianura e l’ha incontrato sotto la Torre Trieste.
Attilio matura la piena adesione all’antifascismo quando le scalate estreme lasciano il posto alla riflessione sociale. È di nuovo una scelta di pelle: «Mi sento socialista – dice alla moglie –. Quando ho scoperto il mondo degli operai a Mercato Saraceno, in Romagna, mi sono subito sentito dalla parte loro, contro la dittatura». Il lavoro gli permette di viaggiare senza destare troppi sospetti; pochi conoscono i luoghi e le persone più di lui. Dopo l’occupazione tedesca del 1943 decide di unirsi alla resistenza. «Devo farlo, non posso non partecipare» confida a Mariolina.
Il CLN di Belluno s’incontra a casa Tissi sopra il Ponte Nuovo. Attilio non lavora quasi più, ma il lavoro gli serve per copertura. Ha il permesso di usare un piccolo camion e un’automobile. Quando aderisce a Giustizia e Libertà ha già passato la quarantina e non è più un ragazzo partigiano. Per i partigiani agordini è il leader naturale, l’uomo che in montagna ha dimostrato di non avere paura. I tedeschi gli stanno addosso e lo arrestano il 19 giugno 1944. Dopo un mese di detenzione devono rilasciarlo per mancanza di prove. Continuano a pedinarlo per tutta l’estate e il primo autunno, finché il 7 novembre lo fermano di nuovo mentre sta tornando da Vallada Agordina, il suo paese, dove ha partecipato a uno dei tanti incontri-scontri tra militanti.

Prima dell’interrogatorio un informatore gli rivela le ammissioni dei detenuti, così Attilio, quando viene il suo turno, si limita a svelare i segreti che gli aguzzini conoscono già. Il trucco non funziona, gli aguzzini insistono e le torture con la macchina elettrica si fanno insopportabili. Tenta il suicidio con una lametta da barba, ma il sangue delle vene si coagula e lui supera l’emorragia e la disperazione. Lo curano quel che basta e gli danno da mangiare. Sopravvive a tutto novembre, poi la situazione precipita. Gira notizia che i nazisti hanno deciso di giustiziare il «patriota» Tissi. Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 1944, la notte di San Nicolò, i partigiani approntano un’azione da commando e riescono a liberarlo con la complicità di un poliziotto infiltrato. Il 19 maggio 1945 Attilio Tissi presiede la prima riunione della Deputazione provinciale di Belluno. Lui è libero e la città è liberata, in pochi mesi il mondo è stato rivoltato dal vento della libertà. Le montagne, il luogo del rifugio e della disobbedienza civile, brillano nel cielo primaverile. L’8 maggio 1948 l’alpinista partigiano siede sui banchi del Senato repubblicano, nelle fila dell’Unità socialista. Si prende cura delle malattie del lavoro, della legislazione delle acque e dei diritti della montagna italiana. Il 22 agosto 1959 Tissi sale con la moglie alla Torre di Lavaredo, un piccolo contrafforte delle Tre Cime. Durante la discesa mette i piedi su una fragile cornice di roccia che si sgretola e precipita con lui. Muore sulle spalle di Toni Hiebeler.
Nel 1963 gli dedicano un rifugio al Col Reàn, proprio in faccia alla “Civetta” che spiega le ali nella luce del tramonto. Uno degli spettacoli per cui vale la pena di vivere. Forse, in uno di quei tramonti, lui si era fermato a rimpiangere i giorni andati e persi, ma non ne aveva motivo, perché era uno dei pochi, anzi pochissimi alpinisti, che negli anni della propaganda e delle lusinghe di regime aveva guardato oltre se stesso, il fascismo e l’ideale astratto della scalata. Tissi è stato un uomo eccezionale più per quello sguardo disubbidiente che per il sesto grado superiore sul Campanile di Brabante. Pensare agli altri, per un grande alpinista, è almeno settimo grado.
Enrico Camanni
da “Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza e utopia” (Laterza)
http://www.laterza.it
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