Nuove strategie contro le patologie d’alta quota

“La medicina di montagna tra presente e futuro. Un indispensabile supporto all’attività escursionistica e alpinistica”. Per discutere su questo tema, medici di tutto il mondo si sono dati appuntamento a Milano in occasione della rassegna milanese “Mountcity” organizzata da un gruppo di appassionati riuniti nella cabina di regia della Società Escursionisti Milanesi con il patrocinio del Comune, assessorato alle Politiche Sociali. Il convegno medico che ha aperto la rassegna sabato 12 marzo 2016 a Palazzo Marino con il patrocinio dell’Istituto Auxologico Italiano ha permesso di mettere a fuoco nuove strategie contro le patologie d’alta quota in un contesto molto attuale. Il graduale incremento degli anziani in montagna nel corso degli ultimi anni ha infatti portato a una maggiore attenzione al fenomeno da parte del mondo medico. E l’attività fisica è indubbiamente una forma di prevenzione e di terapia per talune patologie (malattie cardiovascolari, diabete, obesità, malattie cronico-degenerative) come ha ricordato Luigi Festi, presidente della Commissione centrale medica del CAI, che ha coordinato i lavori. Giustificato è stato l’interesse per la lectio magistralis del medico nepalese Buddha Basnyat di Kathmandu, presidente dell’ISMM (International Society of Mountain Medicine) sulle patologie di alta quota parlando di comorbilità dovuta alla concomitanza dell’aria sottile e di malattie quali il diabete o altre malattie croniche. Alberto Zoli, direttore di AREU Lombardia, ha parlato della situazione del 118 in Italia illustrando l’APP “Where are you” che permette la localizzazione di un individuo vittima di incidente in montagna, facilitandone il ritrovamento. Mario Milani, direttore sanitario del CNSAS, ha parlato di diagnosi e cura dell’ipotermia, una situazione clinica a volte non correttamente diagnosticata.
Gianfranco Parati, primario di Cardiologia dell’Istituto Auxologico, dell’Università della Bicocca di Milano, ha a sua volta tenuto una relazione sul paziente cardiopatico in montagna che deve essere oggetto di un’attenta valutazione perché il cuore in alta quota lavora di più e riceve meno ossigeno e si contrae in modo diverso. Guido Giardini, responsabile dell’Ambulatorio di medicina di montagna dell’Ospedale di Aosta, ha infine riferito come nella struttura aostana vengono studiati tutti coloro che lavorano in quota quali guide alpine, soccorritori, lavoratori degli impianti a fune.

Il convegno, che ha avuto tra i relatori anche Jason Williams e Darryl Macias dell’University of New Mexico, USA, è stato seguito con particolare attenzione da numerosi medici specializzati tra i quali Giancelso Agazzi del Club Alpino Italiano e della Società di medicina di Montagna che ne ha riferito puntualmente su un autorevole sito quale Montagna.Tv. Al dottor Agazzi, dagli amici conosciuto come Gege, MountCity ha chiesto di fare il punto su questa particolare disciplina e sulle sue prospettive. Ecco la sua preziosa testimonianza.

Le prospettive secondo un medico… malato di montagna
Mi occupo di medicina di montagna ormai da trent’anni. E’ sempre stata una mia passione e così posso dire di averla vista crescere negli anni. Si tratta di una disciplina di nicchia, che in pochi conoscono, ma che ha dato, credo, un certo aiuto agli appassionati della montagna. La medicina di montagna è nata grazie all’interesse di alcuni ricercatori o per il lavoro delle varie commissioni mediche del CAI (centrale e periferiche). Poi, è nata la Società Italiana di Medicina di Montagna, di cui faccio parte, e che ho contribuito a fondare con altri colleghi. Merita ricordare il lavoro svolto degli ambulatori di medicina di montagna (Aosta, Tione di Trento) che si occupano di tutti coloro che vanno in montagna e desiderano ricevere consigli o effettuare visite mediche che possano dare indicazioni sulle proprie capacità fisiche nell’affrontare l’ambiente alpino montagna, compreso il test in ipossia.
La medicina di montagna è nata anche grazie al contributo di illustri fisiologi, Angelo Mosso tra i primi, a studiare il male acuto di montagna. Rodolfo Margaria, Paolo Cerretelli e Giuseppe Miserocchi sono i primi padri in Italia della medicina di montagna, e molti sono gli specialisti che si occupano di ipossia, ovvero di quella condizione legata alla diminuzione dell’ossigeno che si verifica all’organismo umano, andando in alta quota. Ma un grande contributo è stato dato anche dai vari team di soccorso in montagna che operano nel mondo: il CNSAS che opera nel nostro territorio, o altre istituzioni o associazioni che si occupano di soccorso in montagna, quali la REGA (Guardia Aerea di soccorso in montagna), o il GRIMM in Svizzera. Fondamentale il lavoro svolto da istituzioni quali l’EURAC di Bolzano, diretta da Hermann Brugger, una delle cui sezioni ospita ricercatori che si occupano esclusivamente di medicina di emergenza in montagna. In questo campo Brugger, in collaborazione con la Regione Alto Adige e con il governo nepalese, ha realizzato progetti di formazione per medici, soccorritori e guide nepalesi.

Grazie al lavoro di questi esperti sono stati realizzati studi statistici o creati dei registri che si occupano di raccogliere dati sui traumi in montagna, sui congelamenti o sull’ipotermia. Alcuni funzionano già, altri stanno per essere realizzati o sono da poco stati creati. Pure la Commissione Medica della CISA-IKAR ha dato e continua offrire un notevole contributo circa le linee-guida o le procedure da seguire nel soccorso in montagna, occupandosi anche di ricerca. Dal punto di vista didattico sono sorti alcuni corsi di diploma in medicina di montagna, come per esempio quelli organizzati dall’università di Padova, o dall’università di Bobigny a Parigi o dall’università di Grenoble. Ultimo nato, ma prestigioso, il master di secondo livello di medicina di montagna istituito dall’Università dell’Insubria di Varese diretto da Luigi Festi, che comprende un indirizzo di soccorso in montagna e una parte di base.
Oltre a tutto ciò, vengono organizzati convegni nazionali o internazionali che si occupano di medicina o di soccorso in montagna. Alla fine del mese di luglio 2016 verrà, per esempio, organizzato a Telluride in Colorado (USA) il Congresso Internazionale di medicina di montagna. Oltre le commissioni mediche del CAI è operativa la commissione medica dell’UIAA, che pure elabora documenti o stila linee-guida.
Negli ultimi dieci anni la montagnaterapia ha trovato una collocazione importante nel campo della medicina di montagna. Codesta disciplina si occupa dei pazienti con handicap, soprattutto la malattia mentale, che trovano nella montagna un importante aiuto ai loro problemi. Merita ricordare il progetto che sta andando avanti presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII a Bergamo con i trapiantati di organo che frequentano la montagna, o il progetto che va avanti da circa dieci anni messo a punto da Giuseppe Masera presso l’ospedale San Gerardo di Monza che prevede l’accompagnamento di bambini leucemici sulle montagne della Val Camonica.
La montagnaterapia ha una sua applicazione anche nel campo delle tossicodipendenze. Nell’ambito della patologie croniche, la medicina di montagna ha dato un notevole apporto. I diabetici, i cardiopatici, gli asmatici o gli ipertesi possono frequentare la montagna purché in compenso, sempre su indicazione di specialisti competenti in grado di valutare ogni singolo paziente. Studi scientifici realizzati nel corso di spedizioni extra-europee o nei laboratori in alta quota hanno portato ad applicazioni nel campo della cardiologia o dell’oncologia. Va ricordato il convegno “Hypoxia” che ogni due anni viene organizzato a Lake Louise (Alberta) in Canada e che vede riuniti scienziati di tutto il mondo che si occupano di ipossia, ovvero di tutti quei problemi causati dalla carenza di ossigeno in alta quota.
Giancelso Agazzi