Pareti sicure sulla montagna di tutti. L’integrazione sociale nella settimana dei monti in città

Mountcity e sicurezza, capitolo terzo: dopo gli incontri dedicati alla medicina e alle cose da sapere per prevenire il pericolo, la settimana delle montagne in città ha incontrato il cuore di Milano, proprio quello che la voce popolare vuole in man: il cuore in mano, appunto, per offrire sicurezza a chi, per motivi diversi, non ne ha o la perde. “La montagna che include – modelli per l’integrazione sociale e nuove opportunità di crescita” è il titolo scelto per questo convegno ospitato domenica 13 marzo da La Cordata (nomina sunt consequentia rerum?) di via San Vittore. Si potrebbe cominciare dalla fine, con la citazione proposta da Laura Posani, presidente della Società Escursionisti Milanesi, “regista” della settegiorni, a conclusione di un mosaico di esperienze fatte, di racconti e di emozioni vissute, ma anche di progetti e proposte alle quali lavorare da subito. Suggerisce Confucio: “Se ascolto dimentico, se faccio capisco”.

Una massima che ben si adatta alla buona volontà di Lombardia, dove lavora il 33% delle associazioni di volontariati e dove, ha sottolineato la Posani, “la crisi non ha intaccato la voglia di spendersi per un ideale”. E questo anche in pianura. Perché in montagna, ha detto Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano, “si trova un vero giacimento di comportamenti inclusivi”. “Lassù si recupera il vero senso di comunità, anche se le terre alte soffrono troppo del digital divide”, ha aggiunto il presidente del Cai lombardo Renato Aggio. E poi ecco Annalisa Fioretti, giovane medico e alpinista, lanciare un progetto per sostenere ragazzi nepalesi nel loro percorso scolastico. Lei, testimone diretta dei due terremoti che in aprile e maggio 2015 hanno devastato il Paese, ha prestato cure e soccorso, ha visto a ottobre (tornando in Nepal) fratture che risalivano al sisma della primavera, interpretato le diverse anime di un popolo che già era provato e tirato le conclusioni: “Chi non studia non va avanti e non ha possibilità di cambiare le cose”.

Ecco Alpiteam, che festeggia i 30 anni ed è nata a Seregno (MB) come scuola di alpinismo del Cai, ma poi, ospitata dal Cai di Bovisio Masciago, ha cominciato ad accompagnare le salite dei ragazzi della comunità terapeutica Arca di Como. Ecco i Quartieri Tranquilli di Lina Sotis, per anni signora della cronaca del Corriere che oggi non esita a bussare alle porte più importanti per chiedere aiuto, decisa a portare In Quota (con l’Associazione Attraverso la Montagna, MountCity stesso e il Cai Milano) i ragazzi delle scuole di periferia: “Non ho bisogno che sia facile, ho bisogno che ne valga la pena” hanno detto ad Elena Biagini, educatrice professionale che li segue. Per i ragazzi della cooperativa sociale La Cordata, invece, può capitare che la montagna sia riconquista: quelli che arrivano dal Bangladesh o dell’Est Europa hanno conosciuto ben altri sentieri nelle loro difficilissime migrazioni.

Durante il convegno, il racconto del binomio montagna-solidarietà si è dunque snodato con racconti, testimonianze, filmati, dati e tabelle. Per I Semprevivi di don Domenico Storri, che sono persone in viaggio verso l’autonomia dal loro disagio psichico, in montagna è soprattutto importante il fatto che si saluta ognuno che si incrocia, e poi che in caso di difficoltà, si condivide. Già, ma per tutti è così. A chiudere, “A ciascuno il suo Everest” con il professor Giuseppe Masera ed il Comitato Maria Letizia Verga. Dall’ospedale San Gerardo di Monza, portano a conquistare l’Adamello-Everest i bambini che, conosciuta la fatica e la paura della malattia, sono in grado di conquistare quella gioia che in linguaggio scientifico è designata “crescita post traumatica”. Vuol dire, come in fondo sanno tutti gli alpinisti, che la fatica stessa può essere una conquista, non sempre viceversa.
Laura Guardini
Leggi il Programma completo della rassegna “Mountcity. Montagne a Milano”
Una legittima esaltazione del volontariato trattandosi di un evento griffato Cai, ma non dimentichiamoci che la società cresce, in montagna come in città, grazie alla valorizzazione delle professioni, alla capacità di creare competenze e lavoro. Questo forse è anche quanto potrebbero intravvedere i ragazzi che partecipano al progetto Quartieri in Quota: magari la possibilità di uscire dalla città angusta e malsana trovando lavoro nelle professioni di montagna… un argomento che il popolo dei “senza guida” faticherebbe comprensibilmente a comprendere. Meglio quindi la retorica del volontariato, che piace tanto all’assessore!