Piolet d’or per la terza volta alla “vertical pleasure” di Mick Fowler

A sessant’anni Mick Fowler, londinese doc, riceve per la terza volta l’Oscar delle scalate, il Piolet d’or. Il riconoscimento viene consegnato dal 14 al 17 aprile in Francia, a La Grave-La Meije, ad altri 11 alpinisti tra i quali, il più giovane, è l’ucraino Nikita Balabanov, 26 anni. Fowler, come ci racconta nel bel libro “Su ghiaccio sottile” (Alpine Studio) esemplarmente tradotto da Luca Calvi, appartiene a un’ideale categoria di edonisti “verticali” che perlopiù del proprio alpinismo svelano solo i piaceri. Nessun tarlo lo rode, a quanto pare, prima di una scalata e forse, se gli fosse capitato qualche inconveniente, avrebbe evitato di mostrare ai fotografi le mani piagate dal gelo o di farsi immortalare con un termometro che segna 30 sotto zero appeso con una spilla da balia alla giacca a vento. Questioni di scelte non solo esistenziali, indispensabili quando prevale l’esigenza di mediatizzare le proprie esperienze e farne commercio. Il terzo Oscar se l’è meritato con Paul Ramsden salendo in cima al Gave Ding, in Nepal, un seimila pressoché sconosciuto: oltre un chilometro e mezzo di una cresta molto aerea. Una scalata d’alta classe che ha avuto scarsa o nulla eco sui blog specializzati.

Fowler copia
Nella vita è impiegato all’ufficio imposte (ph. Serafin/MountCity).

Intanto, per inquadrare meglio il personaggio, va precisato che il simpatico Mick, classe 1956, londinese, nella vita di tutti i giorni lavora nel presumibile grigiore di un ufficio imposte. Come fece il grande Riccardo Cassin, sgobba con impegno per vivere e mantenere la famiglia. Ma come risulta evidente dai suoi palmares vive per scalare le montagne del mondo. Già presidente dello storico Alpine Club, Mick ha un debole per l’Italia e appena può non si nega un week end sulle Grigne. Alcuni ricordano che il tappeto rosso delle grandi star è stato steso per Fowler il 18 ottobre 2012 al Palamonti di Bergamo. Fu ospite d’onore alla rassegna “Il Grande Sentiero”: quando incontrò il pubblico bergamasco era reduce con il fedelissimo Paul Ramsdem da una brillante prima salita nell’Himalaya Indiano sulla parete nord dello Shiva, vetta di 6.142 metri nella remota regione del Pangi District: la cordata aveva impiegato sette giorni per arrivare in cima e altri due per scendere dall’inviolato versante sud est.

A Fowler l’esperienza ha ricordato in quell’occasione una scalata invernale di misto sul Ben Nevis, mentre per Ramsden è stata “la più bella scalata della sua vita”. E se lo dice lui, gli si può credere: negli ultimi dieci anni con Fowler ha aperto diverse vie tra cui quella al Central Couloir sulla parete nord del Siguniang che è valsa loro il precedente Piolet d’Or. “Il primo avvistamento della parete ci ha dato un certo sollievo e ha aumentato la voglia di salire anziché avere l’effetto opposto come è capitato ad altri prima di noi”, racconta Fowler. “La linea aveva tutto quello che Paul ed io cerchiamo: la cima più alta della zona, una linea accattivante, inviolata, visibile da lontano, una linea diretta alla vetta, al sicuro da pericoli oggettivi, ripida, tecnicamente impegnativa e, infine, la possibilità di scendere da un percorso diverso”.

Fowler e Calvi
Con Luca Calvi, suo impeccabile traduttore (ph. Serafin/MountCity).

Dal libro “Su ghiaccio sottile” si apprende che, partendo da una lunga stagione di conquiste sulle pareti invernali della Scozia e di salite estive sulle scogliere e le falesie di arenaria della sua isola, nel 1976 Fowler si getta nelle ripetizioni delle vie più classiche delle Alpi (le nord del Cervino e dell’Eiger) e affronta il ghiaccio del Monte Bianco.
 “La mia specialità? L’alpinismo pulito in stile alpino, possibilmente in aree poco esplorate o anche sconosciute agli occidentali”, spiega. “Niente ottomila: richiedono troppo tempo di cui, per i miei impegni di lavoro, non dispongo”. Ancora qualche notizia su di lui. La sua predilezione per l’arrampicata su ghiaccio lo ha portato in Perù nel 1982, dove è riuscito a salire una via nuova sulla parete sud del Taulliraju in sole due settimane (voli da e per Londra compresi); nel 1983 ha salito il couloir ovest del Kilimanjaro, nel 1986 la parete ovest del Monte Ushba, in Caucaso.
Poi, il colpaccio: in Pakistan scova assieme all’amico Saunders un pilastro alto duemila metri, e vi traccia una delle vie di ghiaccio e misto più difficili dell’Himalaya, il Golden Pillar dello Spantik. Dal 1989 è un susseguirsi d’imprese di ampio respiro, sempre in luoghi sconosciuti e su vette perfino inviolate. Nel 1997 compie la prima ascensione all’inviolata parete nord del Changabang (Himalaya Indiano), lungo una linea di bave di ghiaccio sottile.
Nel 2002 scova nella regione del Sichuan, in Cina, uno dei couloir più alti e affascinanti della Terra. Con Ramsden sale la parete nord dello Siguniang. Quella colata di ghiaccio, non-stop per oltre 1000 metri, conferisce a Fowler e a Ramsden il Golden Piton 2002 e il Piolet d’Or per l’edizione del 2003.

Una delle recenti “vertical pleasure” di Mick e Paul Ramsdem è dell’ottobre 2013, ancora nell’Himalaya indiano dove realizzano la prima salita del Kishtwar Kailash (6451m): una linea che Fowler aveva delineato già nel 1993 durante la sua spedizione al Cerro Kishtwar. Da una foto scattata dalla cima del Cerro si vedeva che, con le condizioni giuste, il Kishtwar Kailash sarebbe stato un obiettivo di prim’ordine. Ecco perché, non appena è stato possibile, Fowler ha richiesto e ottenuto il permesso per tentare questa cima. Supportati da Mike Morrison e Rob Smith, dal 4 al 10 ottobre Fowler e Ramsden hanno salito in stile alpino una linea di 1500m sulla parete sudovest descritta come “una grande via, con viste spettacolari ed arrampicata varia fino al VI grado scozzese”. “Tutto ciò”, precisa Fowler, “è avvenuto nel periodo delle ferie e all’insegna del relax. Come, più o meno, fate voi italiani quando andate a spassarvela in Grignetta. E come ha sempre fatto l’indimenticabile Riccardo Cassin che all’alpinismo riservava le parentesi concesse dal suo lavoro d’imprenditore”.

Su ghiaccio sottile copia
Il libro pubblicato da Alpine Studio.

Inconvenienti? In trent’anni e più di scalate Fowler può “vantare” solo una ferita e una piccozza conficcata nel gomito. “Pura fortuna”, sorride, “ma poteva anche andarmi meglio quella volta della piccozza se non fossi incappato per sovrapprezzo in una valanga”. Ha scalato anche con Simon Yates, l’uomo che tagliò la corda di Simpson abbandonandolo al suo destino, come è raccontato in “Touching the void”. Che idea si è fatto di lui? “Posso garantire che ho la più assoluta fiducia in Simon, qualunque sia stata la ragione per cui ha deciso di comportarsi in quel modo”. Ma l’alpinismo oggi ha delle colpe? “Certo che ne ha. Soprattutto quando l’alpinista si impone di raggiungere la vetta a ogni costo. Corde fisse, bombole d’ossigeno e spit sono il risultato di una mentalità sbagliata: quella di chi non accetta che la montagna possa anche respingerci. La rinuncia non deve mai rappresentare un atteggiamento di cui vergognarsi. Può capitare. Importante è lasciare le montagne in buone condizioni, così come le abbiamo trovate”.

Un pensiero riguardo “Piolet d’or per la terza volta alla “vertical pleasure” di Mick Fowler

  • 03/04/2016 in 15:48
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    uno dei più grandi al mondo di sempre… e poi dicono che l’alpinismo è finito! alzate il culo e cercate!

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