Maestri e l’addio a Fernanda che raccontò quei “duemila metri della loro vita”
Tremila scalate di cui mille in solitaria. E ora Cesare Maestri, celebre “Ragno delle Dolomiti”, affronta la sua solitaria più dura e ingrata. E’ scomparsa a 85 anni Fernanda, moglie adorata, partecipe non sempre consenziente delle sue grandi imprese alpinistiche. Con Cesare lei, Fernanda, scrisse un libro famoso e premiatissimo, “Duemila metri della nostra vita”, pubblicato nel 1972 da Garzanti e ripubblicato nel 2011 da Vivalda nella collana dei Licheni. I fatti sono noti. Stanco delle polemiche innescatesi a seguito della sua prima spedizione del 1959, Maestri tornò nel 1970 al Cerro Torre e scalò la parete sud est piantando 400 chiodi a pressione e lasciando il compressore appeso alla parete sotto il fungo sommitale. Si alternano nel libro le voci di Cesare, che ripercorre le difficoltà superate nella scalata, e la voce di Fernanda a cui spetta l’altrettanto tormentata sorte di attendere notizie e restare in pensiero. Il libro nel 1974 vinse il premio Bancarella Sport. Pubblichiamo, in ricordo di Fernanda, donna di grande classe e accorta imprenditrice che ha contribuito alle fortune di Madonna di Campiglio, una pagina del libro in cui racconta i tormenti vissuti alla vigilia della partenza di Cesare per la Patagonia, quando lei, trepidante, cercò di impedire al suo uomo di realizzare questo discusso progetto alpinistico.
“Allora Cesare, o hai mentito per tanti anni o menti adesso”
No. Non andrà. Vuole solo spaventarmi. E poi con che soldi? La sua è solo una reazione logica (Carlo Mauri in un’intervista aveva negato che il Cerro Torre fosse stato salito da Maestri e Toni Egger, definendo la montagna impossibile e inviolata, NdR), col tempo se ne dimenticherà. “Pensi solo a te, sei un egoista, un ambizioso, un egocentrico, un fanatico”. “Non è vero, penso soprattutto a voi. A te, a Gian. E poi sì, penso anche a me stesso. Non voglio dubbi”. “Ma noi non dubitiamo, diglielo anche tu Gian. Non parliamone più, ti prego”. Non andrà. Dove li trova i compagni per il Torre? Non ci andrà nessuno, non sono mica matti. “Carlo Claus? Figurati. Ha un lavoro, moglie e figli. Perché dovrebbe andare al Torre?”. “Ezio Alimonta? Sì, forse lui ci verrebbe. Ma suo padre e sua madre non lo lasceranno sicuramente”. Non andrà. Non ha i soldi. Per fare una spedizione occorrono tanti soldi, milioni. “Non si possono toccare i soldi del negozio, servono sempre. E poi io non voglio aver lavorato per darti la possibilità di andare a morire”. Non andrà. Gli dirò che sono ammalata. Che sono incinta. Che lo lascio. Non andrà. “Sì, Fernanda, ci andrò. Ti prego, cerca di capirmi. Se non vado, quello che resterà qui sarà un altro uomo. Mi sento sporcato, avvilito, insultato. Mi sembra che la gente mi guardi diversamente, mi sembra di essere sul banco degli imputati. Sto male, lo capisci?”. “Non m’importa. Preferisco vederti così che non vederti più. E poi sono discorsi inutili. Lo sai meglio di me che non ci sono i soldi”.
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Sono disorientata. Non riconosco più il mio uomo. Ma allora, se lui rischia la sua vita e la nostra perché non ci siano ombre di dubbio sulla sua figura, che uomo è? È un egoista incallito che scavalca ogni cosa con la naturalezza con cui un bimbo frantuma un giocattolo per guardarci dentro, oppure un altruista capace di dare la vita perché il “suo” buon ricordo rimanga a noi? Chi sei, Cesare? Voglio saperlo, perché io ti ho conosciuto diverso, ti ho conosciuto quando tu mi facevi credere che vivevi per me. Vivevi Cesare, non morivi. Ero una donna felice, felice di amarti, di aver fatto la miseria con te, di aver conquistato assieme a te il benessere, il lavoro, la felicità. E tu, ora, dimenticando quanto so di questa montagna, come ho cercato di lenirti le ferite del Torre, per rassicurarmi dici che non è nulla, che non c’è pericolo, che è una passeggiata. Allora, Cesare, o hai mentito per tanti anni o menti adesso.
Fernanda Maestri
da “Duemila metri della nostra vita” di Cesare e Fernanda Maestri, Garzanti, 1972