L’albergo Cervandone risorgerà dalle ceneri?

Cervandone brucia
Le fiamme che nella notte del 7 dicembre 2015 hanno devastato l’albergo Cervandone (ph. Studio Rds, per gentile concessione). 

Che ne sarà dell’albergo Cervandone devastato dal fuoco nel 2015, in una notte di dicembre all’Alpe Devero, nel cuore delle Alpi Lepontine? Dal 1972 risultava tristemente chiusa ai visitatori questa grande struttura che si affaccia sulla verde conca del Devero e porta il nome dell’omonima vetta di oltre tremila metri. A quanto si sa, l’albergo è stato fino al 2003 di proprietà dell’Enel per poi passare al comune di Baceno e alla Regione Piemonte. Che ora devono decidere il da farsi. Ritrovo di alpinisti e di famiglie cittadine amanti della montagna ossolana, il Cervandone inteso come albergo, era un simbolo della Belle Epoque dove la buona cucina premiava gli audaci scalatori e fiumi di spumante scorrevano mentre le orchestrine suonavano valzer e mazurke fino alle ore piccole. Alla montagna che svetta sull’Alpe Devero dedicò in quegli anni una canzone per canto e pianoforte il cavalier Giovanni Leoni (1846-1920) che usò come pseudonimo il nomignolo di “Pastizza”. Leoni fu il fervido autore delle “Rime Ossolane” firmandosi semplicemente  Torototela. A Leoni, definito il “vate dell’Ossola”, va peraltro il merito di avere fondato nel 1910 la Società Pro Devero per promuovere lo sviluppo turistico di questo incantevole paradiso: “paradis di nost montagn, che in nissun sit igh n’han un alt compagn”, come lo definì enfaticamente nel dialetto ossolano piuttosto simile a quello lombardo.

Mediocre scalatore ma ottima forchetta, il cavalier Leoni volle soprattutto porre l’accento nei suoi versi su un aspetto del Devero che lo allettava: la buona cucina dell’albergo Cervandone, all’epoca al colmo del suo splendore.

In Antighori i ghan ul Scervandon,

quel pizz ch’u gha la forma d’un crocant;

par nagh ugh vol un alpinista bon,

ma tornand ju glorios e trionfant

in Dévar, a l’albergo u trovarà

la tavla pronta e ‘l lecc par riposà.

Occorre tradurre? La montagna veniva considerata ai tempi beati di Leoni un grande libro aperto sulla natura e, al tempo stesso, un luogo dove fare baldoria. Leoni, che si faceva per modestia chiamare con il nome dei cantastorie girovaghi, ebbe una vita avventurosa. Emigrò a 24 anni in Paraguay. Con il fratello Costantino a Montevideo creò la “Leoni Hermanos”, un proficua attività commerciale in tessuti e generi vari. Comprò una nave con quindici uomini di equipaggio e navigò le fredde acque della Patagonia trasportando ogni genere di merce in quel “mondo al confine del mondo”. Nel 1886 infine liquidò l’azienda e rientrò in Italia dove visse di rendita fino alla morte.

Canzone del Cervandone copia
Lo spartito con la Canzone del Cervandone (arch. Fratelli Boni, per gentile concessione)

In inverno risiedeva a Domodossola, Bologna e Torino dove frequentava assiduamente la borsa valori. In estate se la godeva a Mozzio dove, via via, trascorse soggiorni sempre più prolungati fino a stabilirvisi definitivamente.

Nel 1891, durante un viaggio a Roma, scrisse la prima poesia dialettale (“L’Olèta”) che inviò all’amico parroco di Mozzio, don Gaudenzio Sala. Per oltre vent’anni scrisse poesie mordaci e satiriche in dialetto che vennero però pubblicate soltanto nel 1929 a Belluno per iniziativa del nipote Camillo Boni con il titolo di “Rime Ossolane”. Questa scoperta tardiva del suo talento tra i monti bellunesi, che gli erano estranei, fa sospettare che Leoni abbia sofferto di qualche incomprensione nella sua terra, anche se nessuno oggi può negare che la “Pro Devero” aprì alle masse popolari la frequentazione di questa meravigliosa conca ai piedi del Cervandone.

Ma l’episodio che illumina il personaggio del cavalier Leoni assicurandogli un ampio spazio nel pantheon ossolano fu la costruzione tra il 1899 e il 1901 del rifugio alpino sul Monte Cistella, struttura che oggi porta il suo nome. Per realizzare questo progetto sulla montagna che domina le valli Divedro e Antigorio, il cavaliere mise a frutto il suo talento di poeta e musicista. Compose una polka e un valzer dedicati alla montagna che portava nel cuore dedicando il ricavato della loro esecuzione pubblica all’erigendo rifugio.

Questi particolari della sua vita dovrebbero essere sufficienti per assicurargli la riconoscenza di tanti amici ossolani. Anche se, pensandoci bene, Torototela meriterebbe nella “sua” valle Antigorio qualcosa di più di una targa sbiadita sulla casa di Mozzio in cui trascorse giorni felici.

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