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Salvò 40 persone, la quarantunesima gli fu fatale

L’attività in favore dei cani San Bernardo condotta dalla Fondation Barry du Grand-Saint-Bernard verrà promossa in un infopoint aperto ad Aosta. Nel darne notizia, l’agenzia ANSA precisa che oltre a far conoscere ‘Barryland’, il museo e l’allevamento dei cani a Martigny (60.000 visitatori all’anno, 35 cani presenti), l’infopoint promuoverà il territorio della valle del Grand Combin attraverso la vendita di articoli da regalo ed eccellenze eno-gastronomiche quali Jambon de Bosses Dop, fontina, birre artigianali, vini Doc, cioccolato e biscotti. Ma chi era Barry? Considerato il capostipite di questi meravigliosi molossoidi, il cane San Bernardo così battezzato dai monaci dell’Ospizio si prodigò a lungo sulle nevi del passo attraversato in inverno dai pellegrini e fece una fine ingloriosa. Ecco come lo raccontano Laura Guardini e Roberto Serafin in “Samaritani con la coda” (Priuli&Verlucca, 2005).

Un esemplare di San Bernardo. Il 14 luglio 2013 a S.Rhémis-En-Bosses (Aosta) si svolge il 64/o raduno internazionale dei cani San Bernardo. Partecipano esemplari provenienti da mezza Europa, divisi in sette classi d'eta' e nelle categorie a pelo lungo e a pelo corto. ANSA/US +++ HO NO SALES - EDITORIAL USE ONLY +++
Un esemplare di San Bernardo (Ansa, per gentile concessione). Sopra il titolo un gruppo di istruttori. In realtà questi cani non vengono più usati nel soccorso alpino.

Instancabile, generoso, eroico

E’ l’inverno del 1814. Per ricostruire l’episodio che più onora la dynasty dei San Bernardo occorre rifarsi a “Hommes et chiens du Grand-Saint-Bernard”. Una bibbia della cinofilia di montagna. A beatificare Barry è l’autore Paul Achard, francese, che da alle stampe il saggio nel 1937 per “Les Editions de France” dopo essersi dimostrato tra i più abili nel forzare le porte dell’universo cinofilo con un’altra opera rinomata, “Nous, le chiens”, che anticipa non poche acquisizioni di etologia, scienza sul comportamento animale a quell’epoca in fase prenatale.

Nella ricostruzione di Achard, il 1814 in cui si conclude in modo tragico e grottesco la carriera di soccorritore di questo splendido esemplare di San Bernardo è di quelli che più hanno messo a dura prova gli abitanti dell’ospizio con e senza coda. Barry si è già meritato il paradiso e, senza probabilmente rendersene conto, vive la sua stagione più ricca di soddisfazioni, adulato e riempito di coccole. Perché stupirsi? Di esseri umani ne ha strappato la bellezza di 40 alla morte bianca e tanto varrebbe che andasse in pensione curandosi l’artrosi che si sta manifestando conferendogli un’andatura curiosamente ciondolante.

Ma non demorde Barry il grande. In una notte di tregenda il suo fiuto lo porta a scoprire, semisepolto a poche centinaia dall’ospizio, il corpo di un viaggiatore irrigidito dal gelo. Non c’è anima viva accanto al samaritano che possa determinarne il comportamento, le decisioni dipendono da lui e da nessun altro.

Ma un particolare insegnamento emerge nel cane con estrema chiarezza. Se quello che ha scoperto è un uomo ancora in vita, come risulta inequivocabilmente dall’affanno percepibile, Barry dovrà trascinarlo al sicuro più in fretta che può. E se l’impresa è superiore alle sue forze, non resta che una soluzione: sdraiarglisi sopra per riscaldarlo con la sua pelliccia, e passargli più e più volte la lingua sul volto, quasi a volergli restituire la vita anche attraverso la preziosa e “divina” saliva.

La manovra riesce alla perfezione: la procedura è parte integrante della didattica all’ospizio. Sotto la calda e morbida pelliccia di Barry l’uomo si rianima. Ma anziché provare sollievo sgrana gli occhi in preda al terrore. Nell’oscurità e nella sua mente obnubilata dalla sofferenza tutto quel pelo che gli si agita addosso non può che apartenere a un essere mostruoso. Un lupo o più probabilmente un orso.

Cerca allora affannosamente il pugnale rimasto sepolto nella neve, lo trova e colpisce una, due, tre volte quell’ombra per lui mostruosa, accecato dal terrore. Poi si trascina all’ospizio e racconta l’accaduto. Ci vuole poco per capire che vittima del tragico equivoco è il grande, l’eoico, l’invitto Barry. Tutti fuori allora, a cercarlo e a soccorrerlo.

Il rantolo del cane li guida. Il tempo di portarlo all’ospizio, prestargli i primi soccorsi, tamponargli le profonde ferite mentre le avemarie dei monaci riempiono di brusii i corridoi dell’ospizio. L’indomani il vecchio Barry sembra riprendersi e guarda smarrito i religiosi chini su di lui. Che sarà di lui? Poi si decide. Verrà caricato su una slitta e inizierà un lungo viaggio verso Berna. Verso una salvezza che non arriverà mai. L’Eco delle Alpi qualche giorno dopo riporta vistosamente la sensazionale notizia in prima pagina: “Barry, che ha salvato 40 persone, è stato ucciso dalla 41°”.

Ma la storia di Barry, il cui nome secondo Achard significa “piccolo orso” nel patois bernese, non finisce qui. Impossibile tra i monaci cancellarne il ricordo. Altri due Barry assurgono all’empireo dei cani San Bernardo. Anche Barry 2° tuttavia è perseguitato dalla sventura: nel 1905 questo esemplare soccorritore a quattro zampe, finisce i suoi giorni precipitando in un crepaccio.

Barry 3° sale infine nel 1912 agli onori delle ribalte per un avventuroso intervento. Il giorno dell’Ascensione una comitiva di tedeschi s’incammina in direzione dell’ospizio ma strada facendo viene sorpresa dall’oscurità. In soccorso partono dall’ospizio due “marronier”, gli abati Serafino e Gustavo con il provvidenziale Barry 3°. Arrivati alla baita da cui i tedeschi sono partiti, i due (anzi i tre) apprendono che la comitiva ha rinunciato all’ascensione ed è in salvo.

Rassicurati, Serafino, Gustavo e Barry si rimettono dopo qualche esitazione in marcia. Ma è tardi, sono le dieci di sera e nevica fittamente. L’incerta luce della lanterna li tradisce e, arrivati a un pianoro a loro ben noto, si dirigono nella direzione sbagliata. Quando se ne rendono conto e tornano sui loro passi è troppo tardi. La stanchezza si fa sentire, le gambe sono macigni. Invano dall’ospizio parte una squadra di soccorso guidata da frate Antonio che in quell’inferno è costretta ben presto a ripiegare.

Vicini al naufragio, Serafino e Genoud prendono allora una decisione. Si fanno guidare da Barry che infatti prende una direzione opposta a quella che avevano fin li seguito, segue una traccia invisibile che perde rapidamente e inspiegabilmente quota. Non resta che segurlo fidandosi ciecamente del suo istinto. Alle due di notte i monaci arrivano all’ospizio…

In comune i tre Barry avevano, a giudizio di Achard, un particolare sesto senso. Secondo le testimonianze da lui raccolte i “cani di Dio” riuscivano a intuire prima di chiunque altro l’approssimarsi di un temporale o di una tempesta di neve. Allora niente e nessuno poteva trattenerli: si precipitavano fuori dall’Ospizio ed esploravano in lungo in largo il colle alla ricerca di persone disperse o in difficoltà, l’immancabile botticella di cordiale appesa al collo.

Particolare interessante. L’epopea dei Barry è stata alimentata con una procedura discutibile, sul cui buon gusto ci sarebbe col senno di poi da avanzare fondate riserve. Le spoglie dei tre “cani di Dio” sono state infatti imbalsamate ed esposte alla curiosità dei turisti. Ma Barry 1° non ha trovato pace neanche da morto. All’imbalsamatore è stato infatti rimproverato di avergli conferito un’insopportabile mestizia mostrandolo in un atteggiamento troppo remissivo, la testa reclinata. C’è voluto un nuovo intervento per restituirgli l’impareggiabile e vincente fierezza.

Laura Guardini e Roberto Serafin

da “Samaritani con la coda” (Priuli&Verlucca editore, 2005)

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