La fortezza volante “inghiottita” dal Monte Bianco

Napoli Capodichino, 1 novembre 1946. La guerra in Europa è finita da poco più di un anno, ma molti aeroporti sono ancora usati a scopi militari. Le condizioni meteorologiche non sono buone ed è ancora notte quando il B17 delle Forze aeree degli Stati Uniti numero di serie 43-39338 decolla per Londra. Una destinazione mai raggiunta dal momento che l’aereo con a bordo otto membri dell’equipaggio è precipitato sul massiccio del Monte Bianco, in Val Veny. Di questo tragico volo racconta il documentario di Erik Gillo “B17 Mont Blanc – Missing aircraft in the glacier” presentato sabato 21 novembre 2015 al Museo Nazionale della Montagna di Torino con la partecipazione di Anne Cobb, figlia del pilota Lawrence L.Cobb.

Boschis copia
Gianni Boschis ha coordinato le ricerche sul fronte italiano. Nella foto sopra il titolo il B17 in volo.

Ma com’è finito sul Monte Bianco il bombardiere americano? Sul Tirreno, prima che si faccia l’alba, il B17 incontra pessime condizioni atmosferiche. Invece di dirigersi verso la Corsica e proseguire per il corridoio della Valle del Rodano, l’aereo devia sulla Liguria, per sorvolare il Piemonte e infine la Valle d’Aosta. Una minacciosa coltre di nubi avvolge ormai anche le Alpi occidentali: confuso nella tormenta l’equipaggio è in ansia per la mancanza di punti certi di riferimento e, forse, per qualche avaria strumentale.

La morte coglie tutti all’improvviso mentre stanno per superare l’estremo ostacolo sulla loro rotta: l’Aiguille des Glaciers, l’ultima cima prima delle valli francesi e di un corridoio aereo più basso e semplice da seguire. Il B17 si scontra con la vetta della montagna, esplode e ricade in mille pezzi su due versanti: fuori rotta, senza testimoni diretti, privo di contatti radio da diverso tempo, viene considerato a lungo disperso.

Lapide equipaggio
La lapide che ricorda gli americani caduti sul Monte Bianco.

Bisogna attendere l’estate del 1947 perché parte del suo relitto venga identificato per il casuale ritrovamento di una pattuglia di Chasseurs alpins. Da allora i ghiacciai custodiranno ogni traccia, una tomba di gelo anche per i resti dell’equipaggio. Sino a che, a partire dagli anni ’70, complice il riscaldamento globale, rottami, oggetti e corpi umani iniziano ad affiorare alle fronti glaciali in rapido ritiro.

Nel 2009 un gruppo di appassionati coordinati da Gianni Boschis, geologo torinese, inizia a occuparsi in Italia della vicenda allo scopo di dare un volto all’equipaggio e di commemorarlo in una cerimonia che, data la distanza storica dalla guerra e geografica dalla madrepatria, assume un significato speciale e toccante. La cerimonia si svolge il 3 settembre 2011 al rifugio Elisabetta del Cai Milano. Nel frattempo il gruppo coordinato da Boschis ha riunito in una rete di amicizie persone delle due sponde dell’Atlantico risalendo sino alle famiglie delle vittime. Ora l’epilogo della vicenda con il documentario e la presentazione al Museo della Montagna.

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