Attenzione, ciclisti! Sul “tracciolino” possono essere un problema
Lo storico sentiero tracciolino in Val Chiavenna trasformato in pista ciclistica? Come si è potuto apprendere e come ha pubblicato MountCity, è stata predisposta della segnaletica in loco per i biker e un regolamento ad hoc. Segno che il popolo che pedala trova qui pane per i suoi denti. “Si tratta di un percorso per mountain bike e non di una pista ciclabile, perché presenta difficoltà tecniche”, spiegano comunque i tecnici che hanno messo in sicurezza otto chilometri di questo spettacolare sentiero che in parte ospita i binari di un piccolo locomotore di servizio. Da tempo si sa che questo sterrato la cui ampiezza varia dai 4 metri al metro e venti fa particolarmente gola ai ciclisti. Il via vai dei pedalatori è di norma piuttosto sostenuto. E, del resto, sulla presenza dei biker puntano principalmente i responsabili della Comunità montana interessati ad alimentare nuovi flussi turistici.
Per alcuni che ci hanno scritto è tuttavia preoccupante il fatto che il Tracciolino venga pubblicizzato come percorso ciclabile o che questo si lasci intendere. “Mi vedo già qualcuno a piedi obbligato a scansarsi di fronte a un ciclista nella strettoia di 1,2 metri”, scrive un fedelissimo del cavallo di San Francesco. E’ un problema di vecchia data quello della convivenza tra ciclisti ed escursionisti a piedi. I codici di comportamento si sprecano. Si raccomanda che le tecniche di guida debbano essere ecocompatibili, evitando manovre dannose quali, ad esempio, la derapata (bloccaggio della ruota posteriore). Ed è palese che la velocità di conduzione debba essere commisurata alle capacità personali, alla visibilità e alle condizioni del percorso, in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri.
E’ invece accertato che spesso e volentieri, sui sentieri, i ciclisti si comportano come o peggio dei motociclisti. Vogliono la strada a tutti i costi. Chi scrive queste note ha di recente rischiato grosso sull’ameno percorso, una pista in terra battuta tanto frequentato dalle famiglie tra la Colma di Sormano e il Monte San Primo, nel Triangolo Lariano. Improvvisamente alle spalle ho intuito che stava arrivando un ciclista. Un bolide. Nemmeno uno squillo di campanello, un accenno di clacson. Ho reagito con un balzo, ma dalla parte sbagliata, e sono finito sulla sua traiettoria. Per un miracolo non sono stato travolto e quello dopo un inutile tentativo di frenata rischiando a sua volta di finire nella sottostante scarpata ha proseguito la sua corsa in discesa senza nemmeno voltarsi.
Altre volte è capitato di rimanere intrappolati su un sentiero per consentire a comitive di ciclisti lanciati in discesa di passare sollevando polvere e facendo schizzare sassi dappertutto. Questo avviene anche sui Grand Randonnée francesi dove tuttavia compaiono cartelli che invitano a fare attenzione ai ciclisti, come se si trattasse di calamità naturali.

Nel Bidecalogo del Cai si esprimono riserve soltanto sul downhill praticato dai ciclisti che scendono su percorsi ad hoc (e meno male!), spesso sui tracciarti estivi delle piste di sci. “Vedo con grande preoccupazione molte stazioni turistiche di montagna pubblicizzare tali attività”, scrive il past presidente generale Annibale Salsa, “per far crescere il loro declinante appeal commerciale. Evitiamo, per favore, di scimmiottare mode che arrivano da Paesi che propongono la montagna alla stregua di una Disneyland. Se qualche escursionista o turista viene travolto durante una camminata su sentiero non è la stessa cosa, sul piano etico, di un incidente alpinistico. Sul downhill, pertanto, non vi può essere distrazione, oltre che per ragioni di sicurezza, anche per i danni provocati al terreno dalle piste ad esso dedicate. Poniamo un freno alla cultura dell’eccesso poiché, come diceva già Quintino Sella, abbiamo una responsabilità morale verso i giovani che vanno educati, formati all’etica della rinuncia”.
Dal punto di vista turistico, viene invece da domandarsi quali benefici effettivi portino i ciclisti all’economia delle zone frequentate. Non si fermano nemmeno per un caffè, spesso non hanno i soldi né i documenti con se, non lasciano mai la bici da sola nemmeno per fare pipì perché non portano il lucchetto che pesa!
A costo di alienarci le simpatie degli appassionati pedalatori che a questo punto avranno già smesso di leggerci, vorremmo sussurrare che probabilmente sarebbe meglio che le pro loco e le comunità montane desero più corda ai pedoni. Almeno qualche panino, la polenta nei rifugi, il caffè volentieri lo prendiamo, possiamo assicurarlo! Perché invece tante attenzioni vengono riservate a questi “parenti poveri” che corrono via su sentieri e tracciolini a 40 all’ora su telai in carbonio da 5000 euro? (Ser)
well done!