Torino e le Alpi, bilancio di una rassegna
Un bilancio davvero con i fiocchi. Dalla montagna alla città l’edizione 2015 del Festival Torino e le Alpi è riuscita in luglio a far parlare di montagna in termini artistici e creativi, promuovere le valli alpine come luogo della fantasia e dell’emozione, ridare alle terre alte dignità simbolica e territoriale. Basterebbe per dimostrare il valore dell’iniziativa l’immagine che ritrae l’incontro di Mauro Corona con il pubblico a Torre Pellice. Volti assorti, rapiti dalle parole dello scrittore e scultore di Erto che conosce l’arte di incantare “dal vivo” il pubblico con i suoi racconti, e non solo con le pagine magistrali dei suoi libri.
Particolare significativo. Il sociologo Aldo Bonomi ha proposto provocatoriamente di rovesciare il titolo del programma: non più “Torino e le Alpi”, ma “le Alpi e Torino”. Il Festival 2015 gli ha dato ragione, perché è nelle valli – complici il caldo e l’estate – che si è manifestato l’humus ideale per immaginare e raccontare la nuova montagna, libera dagli stereotipi e calda di passione. È decisivo, scrive nel sito “Torino e le Alpi” Enrico Camanni, che il programma abbia scelto di estendere il suo Festival alle valli alpine, promuovendo dei gruppi e dei luoghi pronti a ospitare musiche, parole e immagini della montagna, e capaci di fare arte e cultura con quelle suggestioni. Non in città, ma in montagna.
Il bando della Compagnia di San Paolo ha selezionato dodici progetti che gravitano nelle valli piemontesi e valdostane, virtuosi incroci di città e montagna, basso e alto, terra e cielo. L’idea non era tanto il confrontare la cultura urbana con quella alpina – perché di una sola cultura parliamo, ormai – quanto il ragionare di montagna in termini artistici e creativi, promuovere la montagna come luogo della fantasia e dell’emozione, ridare dignità simbolica e territoriale a un mondo culturalmente subordinato a quello metropolitano, nonostante gli echi della storia e della memoria alpine.

Un mondo amato e negletto, desiderato e dimenticato
I progetti andati in scena nelle valli hanno dimostrato che attraverso la musica, la letteratura, il teatro e le arti figurative si può rappresentare quel mondo amato e negletto, desiderato e dimenticato, e si può farlo con i linguaggi di oggi, non con la retorica del bel tempo andato. Hanno certificato che oggi c’è chi lo sa fare, e magari lo fa splendidamente da anni, anche se non se ne parla mai in giro. Hanno sdoganato un virtuoso movimento “clandestino” che esisteva già e aspettava di venire alla luce.
Alla domanda se quei progetti nascessero in città o in montagna, la risposta è che sono nati a metà strada, fondendo la professionalità e la cultura urbana con il magnetismo delle altezze. C’era un solo autore che veniva al cento per cento della montagna: si chiama Mauro Corona, ha riempito la piazza e le strade di Torre Pellice e, come il predecessore Mario Rigoni Stern, incarna le gioie e i dolori di una civiltà rurale scomparsa da anni ma presentissima sotto pelle in tutti noi, che anche senza saperlo siamo orfani giovani di quel mondo contadino. Ma oltre a Corona sono stati ospitati dieci, cento altri personaggi, testimoni, artisti che svolgono il fondamentale lavoro di cerniera tra alto e basso, il mondo dei pochi e la sensibilità di tutti.
Sarebbe comunque inutile e stucchevole contrapporre ancora una volta la città alla montagna, il presente al passato, l’innovazione alla tradizione, come se i territori fossero imprigionati per condanna altitudinale in categorie culturali e mentali. Non è così, non lo è mai stato, e adesso abbiamo solo un gran bisogno di raccontare con occhi e parole nuove, liberandole dal pregiudizio e dal conformismo. Il Festival Torino e le Alpi è stato un successo perché ha saputo distinguere tra buona e cattiva musica, buona e cattiva letteratura, buono e cattivo teatro, sincera e falsa espressione. Quello è l’unico pregiudizio accettabile.
Enrico Camanni
Cos’è successo nei tre giorni del Festival “Torino e le Alpi” 2015: lo racconta un video