Telefoni cellulari, tecniche di autosoccorso e pigrizia mentale
Ha suscitato in giugno un giustificato interesse la notizia, rilanciata da MountCity, della condanna di un alpinista svizzero per avere indotto il soccorso della Gendarmeria di Chamonix a recuperarlo con l’elicottero mentendo sulle sue reali condizioni. Sull’argomento vale la pena di rileggere quanto pubblicato il 3 ottobre 2013 sul sito Up-climbing in merito al recupero di due incauti alpinisti al Sasso Cavallo, nelle Grigne. Ma ai corsi del CAI non si insegna come cavarsela in situazioni simili? E i profeti della sicurezza del Soccorso alpino e speleologico non promuovono un codice di comportamento per chi ha la tendenza a mettersi nei guai “tanto poi arriva l’elicottero”?
Una “doppia” sbagliata li ha messi nei guai
Sabato una coppia di alpinisti è stata recuperata sul Sasso Cavallo (gruppo delle Grigne – Lecco) nel primo pomeriggio. Cosa era successo? Quasi nulla. Una bella via alpinistica, la Oppio, un rientro anticipato per non mancare all’aperitivo, e una doppia sbagliata, come può capitare a tutti: dopo aver mancato per sbaglio una sosta, non avendo rinviato un paio di chiodi, il primo a scendere si è trovato a penzolare nel vuoto, in una bella gioranta di sole.
– Nessun problema per un buon alpinista appeso nel vuoto. Egli penserebbe: “Ecco una buona occasione per sperimentare sul campo la risalita con il mio autobloccante preferito”. Ravanerebbe un po’ con i cordini per trovare la giusta lunghezza del pedale e il giusto numero di spire del bakmann, e poi risalirebbe. Non senza fatica, maledicendo l’errore, ma risalirebbe fino a prendere la roccia. E invece che succede? Il pendolante urla al compagno sopra che non è in grado di risalire, e gli chiede di telefonare al 118.

– Nessun problema per un buon alpinista che si trova in sosta, capita a tutti di avere un compagno in crisi e di doverlo aiutare. Egli direbbe tra sé e sé: “Ecco una buona occasione per sperimentare il recupero del cosiddetto “cane morto”! Tranquillizzo il socio, mi mangio una barretta sotto il sole di questo splendido sabato, e mi metto a manovrare finché non mi esce un buon paranco con le giuste leve per recuperarlo”.
E invece che succede? L’uomo in sosta non predispone il paranco e ascolta il consiglio del suo amico pendolante: verifica che ci sia campo e chiama l’elicottero. Non è il primo caso di incidente simile: qualche anno fa in Marmolada morì una persona, precipitata uscendo dalla doppia dopo ore di attesa, in cui bloccava il discensore con la sola forza delle mani.
Premesso che le modalità per uscire dall’impasse erano svariate, avere dimestichezza con le manovre di corda, prusik e autobloccanti in genere, paranchi e affini, aiuta ad allontanare diverse situazioni di pericolo, e a risolvere problemi anche su vie lunghe all’apparenza innocue. Queste manovre vengono trattate ai corsi, esistono in libreria testi e manuali su cui impararle, ci sono pareti scuola su cui sperimentarle.
Riflessione: perché le tecniche di soccorso nello scialpinismo sono conosciute da tutti e da tutti considerate imprescindibili, mentre nell’arrampicata vengono bellamente by-passate nella formazione anche di alpinisti con esperienza? Direi che non c’è dubbio, nell’arrampicata su roccia il rischio è meno percepito, basta guardare anche in falesia:

1- Spesso non si fanno i nodi in fondo alla corda (nonostante legare la corda al telo oggi sia la cosa più comoda dell’universo per evitarne i nodi).
2- Si effettua raramente il controllo incrociato, nonostante non sia raro partire con il nodo non finito o l’attrezzatura non a posto.
3- Non si usa quasi mai il casco, neppure tra i principianti quando il ribaltamento è frequente.
4- Bon si usa mai (è considerato disonorevole) l’uso del bastone per rinviare un primo spit troppo alto.
Ma la morale è la stessa che sulla neve: la preparazione “a casa” è fondamentale per gestire al meglio il rischio e automaticamente aumentare la sicurezza, e non solo sulle vie classiche. Una piccola percentuale di tempo dedicato allo studio e alle esercitazioni, può evitare tragedie e certamente rendere l’arrampicata più piacevole.
Un’ultima considerazione forse la impone la tecnologia che non sempre ci aiuta: la pigrizia mentale che porta a non provare a risolvere i problemi, è frutto anche dell’eccessiva comodità del telefono cellulare. Quando si è esausti, se c’è campo per il telefono, ci si risparmia anche quell’ultimo guizzo mentale che potrebbe evitarci di disturbare il soccorso, lasciandolo libero di operare su altri fronti dove magari c’è in gioco una vita (RC).
Da Up-Climbing, per gentile concessione
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