Sopravvissuti / La canadese salvata grazie al fiuto di Zacho

Possibilità di sopravvivenza in valanga? Dopo un’ora il 40% e dopo due soltanto il 20%. Ma qualche volta la valanga “ladra di vite” non riesce ad avere la meglio ed è possible resistere sotto la bianca coltre per parecchio tempo. In questi giorni in Austria uno scialpinista è stato salvato dai soccorritori dopo 10 ore e si è gridato al miracolo. Era sepolto sotto due metri di neve insieme con il suo compagno che viceversa non ce l’ha fatta. Ma un record difficlmente superabile è quello stabilito da una sciatrice canadese a Macugnaga: 72 ore sono trascorse prima che un cane da valanga del Soccorso alpino la scovasse e la riportasse alla luce, cioè alla vita. Rileggiamo come è andata nel libro “Soccorsi in montagna” di Roberto e Matteo Serafin, premio speciale Gambrinus “Giuseppe Mazzotti” nel 2004. Buona lettura.

“Deve aver trovato qualcosa. Bravo Zacho, scava!”

La sindrome da “riscaldamento globale” era ancora di la da venire eppure, in quell’inverno del 1971, normale il clima non lo fu di certo: 65 giorni su 72 di pioggia, 500 millimetri di precipitazioni in poco più di due mesi nelle tabelle dei climatologi segnano un record storico per le nostre latitudini. Ha nevicato quasi ininterrottamente dall’inizio di febbraio e all’inizio di marzo i paesi rimasti isolati a causa delle valanghe non si contano. La situazione è particolarmente difficile in Piemonte e Lombardia: chiuse le strade, chiusi gli impianti delle stazioni di sci, abitanti e i turisti guardano con un senso di oppressione tutto quel bianco che, con l’incipiente disgelo, incombe su di loro. Margaret ed Ernest Laidlaw di Toronto, Canada, sono a Macugnaga da una decina di giorni. La loro vacanza è stata entusiasmante, le sciate fuori pista sui magici pendii del Belvedere non hanno fatto rimpiangere le nevi dell’Alaska, viste le condizioni climatiche straordinarie. La situazione è però mutata quando dal cielo è cominciato a scendere nevischio. Le valanghe, che già hanno distrutto tre skilift e una casa, hanno costretto i gestori a chiudere tutti gli impianti di risalita. La mattina di sabato 11 marzo, dopo due giorni di forzata inattività, Margaret ed Ernest decidono quindi di anticipare il rientro. Per andarsene da Macugnaga devono però scendere con gli sci giù per la strada della valle Anzasca chiusa al traffico in seguito alla caduta di alcune enormi valanghe.

Giunti al paese di Ceppo Morelli proseguiranno in autobus fino alla non lontana stazione ferroviaria.

Valanga a Macugnaga 1971
Il fronte della valanga che travolse Margaret Laidlaw nel 1971.Nella foto in alto Zacho con il suo conduttore Alberto Borgna (arch. Borgna)

I due coniugi, che il popolare Reader’s Digest (02-1973, p. 112) in un racconto dal titolo drammatico “Sfida alla morte bianca” ci descrive come esperti e appassionati sciatori – 44 anni lui, ingegnere civile, folti baffi e decise maniere anglosassoni; di dieci anni più giovane lei, americana di nascita, programmatrice elettronica, di natura cordiale e socievole – si caricano dunque gli zaini in spalla e si lasciano scivolare giù per le stradine fra grandi trincee di neve. Una leggera pioggerella accompagna la discesa, e un silenzio quasi irreale aleggia sul paesaggio. E’ mezzogiorno quando, dopo circa un’ora, giungono al primo ostacolo. Il tunnel ai piedi della cima Battel, alta 3000 metri, è completamente ostruito da un enorme accumulo di valanghe stratificate. Qui incontrano tre ragazze di Como, anche loro dirette verso valle. Si discute sul da farsi. Per passare c’è un solo modo: occorre costeggiare il tunnel, completamente ostruito, camminando sul cono di deiezione, seguendo le impronte lasciate dagli addetti alla manutenzione stradale. Ernest esita. Si volge a guardare l’esile paravalanghe che non è certo sufficiente a contenere quei pendii stracarichi di neve bagnata.

Le tre ragazze italiane sembrano ormai decise, si incamminano, e alla fine anche i due canadesi prendono fiducia. Caricati gli sci in spalla, Ernest si avvia per primo, dopo avere raccomandato alla moglie di seguirlo a una distanza di circa 25 metri. Quando è quasi fuori dalla zona di pericolo volta gli occhi verso l’alto e vede un’immensa nuvola bianca piombare verso di loro. Grida forte voltandosi di scatto verso Margaret che, dietro di lui, getta via gli sci, cerca di liberarsi dallo zaino e si mette a correre. Troppo tardi! Le tre ragazze che sono già fuori dal pericolo la vedono mentre viene inghiottita da una serie di ondate successive di neve, cerca di aggrapparsi disperatamente al tronco di una betulla che si spezza e viene sepolta dalla massa bianca e compatta.

Ricerche a Macugnaga 1971
Le squadre di soccorso impegnate nelle ricerche di Margaret (arch. Borgna).

Circa un’ora dopo il telefono squilla nell’ufficio di Renato Cresta, responsabile del Soccorso e direttore di una delle maggiori sciovie di Macugnaga. In breve una squadra di 15 uomini si dirige rapidamente verso il tunnel dove, sul declivio opposto, due sentinelle dotate di ricetrasmittente hanno il compito di sorvegliare i pendii circostanti nel’eventualità di nuove valanghe. I soccorritori si mettono in fila, spalla a spalla, e prendono a scandagliare scientificamente il grande cono di deiezione dove si possono individuare diverse linee di flusso. Cresta, che è anche capitano degli alpini, dirige le operazioni con il megafono. A ogni suo ordine gli altri avanzano di un passo e immergono le sonde nella neve. Questi attrezzi, lunghi quattro metri, hanno una testina finale dentata che, ruotando, è in grado di raccogliere campioni di qualsiasi oggetto toccato. Questo lavoro procede per tutta la giornata, invano. L’unica indicazione per determinare la zona giusta dove cercare è quell’albero di betulla strappato dalla furia della valanga cui la donna aveva inutilmente cercato di aggrapparsi. Ma gli alberi spezzati sono molti, la zona è ampia, e le tre ragazze che hanno assistito alla scena hanno avuto la malaugurata idea di tornarsene per motivi di lavoro fino a Como. A un certo punto, cosa non certo imprevista, al grido “attenzione valanga!” gli uomini si buttano giù a gambe levate per il pendio sconnesso. Per fortuna la valanga si ferma venti metri più in su.

Quel pomeriggio arriva tempestivamente sul posto l’unica unità cinofila presente in valle, una delle 54 su cui il Soccorso alpino in quell’anno può contare. Se il sistema funziona, il vantaggio è davvero notevole: in 20 minuti un cane ben addestrato può setacciare un’area per la quale sarebbe necessario impiegare 20 uomini per 10 ore! La zona viene sgomberata, il cane non deve confondere gli odori. Ma le ricerche sono vane, l’animale sembra distratto o forse poco stimolato, e dopo un po’ si decide di riprendere con le sonde. Più passa il tempo, più si abbassano le possibilità di salvare Margaret e scende anche il morale dei soccorritori. Non quello di capitan Cresta che ha un’idea fissa: se ci fosse il suo amico Alberto Borgna con il suo fido pastore tedesco Zacho, primo classificato alla Scuola nazionale di Solda per unità cinofile da valanga, la situazione potrebbe cambiare. Borgna è uno dei soccorritori in valanga più esperti d’Italia. Sarà perché dieci anni prima una valanga si è preso il suo migliore amico, e non è stato mai capace di dimenticarlo. Ha tirato su Zacho fin da cucciolo, insieme hanno partecipato a numerose missioni di soccorso senza però mai riuscire a trovare qualcuno ancora vivo.

Il mattino seguente nuove valanghe ritardano l’arrivo dei soccorritori. Alle 8,30 uno squadrone di 40 uomini si mette al lavoro col solito sistema delle sonde. Le ricerche continuano per tutto il giorno, senza risultato. Avvertito per telefono Borgna intanto si è messo subito in viaggio, oltre trecento chilometri di cui buona parte su strade di montagna rese impraticabili dalla neve. Dopo varie traversie e guasti all’automobile arriva la notte seguente, dopo un’intera giornata al volante. In paese è atteso come l’ultima speranza. Lui vorrebbe cominciare subito. Ma è buio, e c’è nebbia. Va invece a trovare il marito della donna, del quale lo colpiscono le parole: “Mia moglie è forte. Se ha aria per respirare, è ancora viva”. Una fiducia che fa a pugni con ogni statistica, dato che le probabilità di sopravvivenza sono già dopo un’ora il 40% e, dopo due ore, soltanto il 20%…

La mattina seguente alle 6,30 tre uomini e un cane si dirigono verso la valanga. Ernest, il marito, viene spedito a fare la sentinella per le valanghe. E’ un riguardo che gli usano i due soccorritori: se dovessero trovare un cadavere, avrebbero almeno il tempo di renderglielo presentabile. Da principio Borgna porta un po’ in giro il suo cane, per farlo ambientare. Poi lo fa riposare. Quando lo vede tranquillo indossa la giacca arancione, e Zacho capisce al volo. Lasciato libero, comincia a perlustrare metodicamente la zona mentre il padrone lo osserva tenendo alzata come un semaforo la sonda in alluminio. La ricerca è resa faticosa dal terreno sconnesso. Dopo aver setacciato la zona inferiore Borgna lascia nuovamente riposare il cane. Poi le ricerche riprendono sulla zona superiore. Ma anche stavolta senza risultato.

“Cosa si può fare?”, chiede Cresta all’amico. “Torna in paese e riposati”, risponde Borgna, “il cane può lavorare bene solo mezzora, poi si distrae”. Mentre i due parlano, Zacho si allontana in direzione opposta a quella delle ricerche. A una quindicina di metri dalla strada si ferma e si mette a fiutare con insistenza. Fa due o tre passi indietro e comincia a scavare freneticamente. Borgna da una gomitata all’amico. “Deve aver trovato qualcosa. Bravo Zacho! Su!”. Il conduttore si mette allora a scandagliare con la sonda attorno a quel punto. Una, due, dieci volte. Sale poco più su e si mette a cercare di nuovo. La quarta volta la sonda incontra un ostacolo. Borgna si mette a spalare, mentre il cane osserva vigile i suoi movimenti e l’amico, non avendo un’altra pala, scatta la sequenza di fotografie che vedete riprodotte in queste pagine. A circa un metro di profondità emerge un pezzo di stoffa scolorita. Rimuovendo altra neve affiora una spalla vestita di rosso, una ciocca di capelli. E’ lei, è distesa con la faccia in giù. Alberto infila il braccio nel buco, sente la schiena. Poi scopre il viso, che non presenta segni di asfissia. Un sottile filo di saliva esce dalle labbra formando piccole bollicine. “E’ viva!”. Poco per volta la liberano, tagliando la neve indurita che imprigiona il suo corpo. Le coprono gli occhi per proteggerli dalla luce e le praticano il massaggio cardiaco. Poi giù veloci con l’automobile verso l’albergo più vicino dove Margaret si riprende grazie alle sapienti cure dei suoi soccorritori. Quando arriva in ospedale il suo polso è ormai regolare, anche se alcune parti di tessuto cutaneo dovranno essere asportate.

Valanga Corsera 14:4:15
Il recente salvataggio in Austria di uno scialpinista nelle pagine del Corriere della Sera.

Oltre 72 ore trascorse in quel sarcofago di neve. C’è di che gridare al miracolo! Margaret si era immaginata una morte rapida, per soffocamento. Ma dopo qualche minuto aveva ritrovato la calma. Nel buio totale che l’avvolgeva si era resa conto che davanti al suo viso c’era una cavità della lunghezza di circa un braccio. Il suo vestiario pesante è stato sufficiente a tenerla calda per un bel po’ di tempo. Così, piano piano, è riuscita a liberarsi entrambe le mani, raschiando la neve con una targhetta di plastica agganciata allo zaino. All’improvviso, dopo una quantità imprecisata di ore, aveva udito delle voci sopra di lei. Aveva cominciato a urlare con quanto fiato aveva in corpo, ma la neve è uno dei migliori isolanti acustici che si conoscano. Udiva i passi e le voci che si allontanavano e si avvicinavano ancora, fino a svanire del tutto. Il silenzio era diventato poi uno spaventoso tormento, il peso della solitudine insopportabile. Fu sopraffatta dallo spavento che le incuteva il suono della sua stessa voce. Le sembrò che i suoi sforzi non fossero serviti a niente. Dopo tutto, addormentarsi sotto la neve non è il modo peggiore di morire. Pensò al marito. Quando per l’ultima volta lo aveva visto correre verso di lei, le sembrava che fosse al sicuro dalla valanga. Poi, verso la fine del terzo giorno, perse conoscenza. Poco prima che Zacho fiutasse il suo odore attraverso la neve.

Come poté questa esile donna sopravvivere a una simile prova? “Perché sono stata molto fortunata”, ha raccontato sempre con molta modestia in occasione delle trasmissioni televisive in cui fu poi ospite. Particolare significativo. Alberto Borgna non accettò mai che la riconoscenza dei due amici canadesi si esprimesse in danaro. Potè però esaudire un suo sogno di bambino, accettando di buon grado l’invito a recarsi ospite in Canadà assieme al suo Zacho. Che, fra tanti onori e festeggiamenti, seppe mantenere sempre un contegno davvero ammirevole.

da “Soccorsi in montagna” (Ferrari editore, 2004)

2 pensieri riguardo “Sopravvissuti / La canadese salvata grazie al fiuto di Zacho

  • 03/01/2018 in 12:16
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    Beh… la fantasia aiuta molto quando si vuole descrivere qualche evento al quale non si era presenti.
    Margareth è stata catturata dalla valanga verso le ore 12 di sabato 11 marzo 1972 ed è stata riportata alla luce verso le ore 8 del lunedì 13 marzo, il che vuol dire 44 ore dopo e non 72.
    Molte altre cose sono andate in modo diverso da quanto è stato descritto e narrato (l’articolo di Selezione è molto fedele alla realtà); non vale la spesa di “pignoleggiare”, ciò che conta è che Margareth se la sia cavata con poco danno (piccoli trapianti di pelle su alcune dita delle mani) e che, pochi giorni or sono, ci siamo scambiati gli auguri.
    Vale però la spesa di ricordare a chi fa cronaca di documentarsi meglio di quanto hanno fatto i relatori, anche perché, quando hanno scritto la loro relazione, sia Alberto che Renato erano ben vivi (come sono tutt’ora) ed entrambi facevano parte del CNSAS. Bastava una telefonata per mettere a punto ogni dettaglio.
    Quello di Margareth è un lungo periodo di permanenza sotto la neve, ma se ne conoscono altri di maggior durata. Il vero record appartiene e tre donne che, sepolte nei ruderi di una stalla il 19 marzo 1755 furono ritrovate ancora in vita ben trentasette giorni dopo (vedi relazione del Prof. Ignazio Somis – Stamperia Reale – 1758).
    Di questo e di altri eventi si potrà leggere nel mio volume “Piccole storie di grandi valanghe” di prossima pubblicazione, nel quale racconterò anche della valanga di Macugnaga.
    In ogni caso, complimenti per la vostra attività.
    Renato Cresta

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