Caso Cerro Torre. La verità di Cesare Maestri
Continua a fare discutere dopo 55 e più anni la salita di Cesare Maestri e Toni Egger al Cerro Torre. Nel libro “Arrampicare è il mio mestiere” (Garzanti, Milano, 1961) una foto a colori su una pagina fuori testo ripresa da Maestri mostra Toni Egger mentre sale apparentemente slegato su quelle che la didascalia definisce le placche d’attacco della parete del Cerro Torre. Oggi ci si è accorti, come riferisce in questi giorni Gogna blog, che la foto è stata invece scattata sulla parete ovest del Perfil de Indio, una piccola torre a nord del Col Standhardt, tra l’Aguja Standhardt e l’Aguja Bifida, sul versante ovest del massiccio, cioè opposto a quello sul quale Maestri ed Egger stavano operando. L’immagine non sarebbe dunque stata scattata sul Cerro Torre come Maestri afferma e smonterebbe vieppiù il racconto, peraltro contestatissimo, del “ragno delle Dolomiti”. A sua volta Sandro Filippini, dopo avere giudiziosamente interpellato Maestri in un servizio apparso il 6 febbraio sulla Gazzetta dello Sport, ha concluso che la fotografia non è stata fatta durante la contestata prima salita, bensì nella spedizione trentina dell’anno precedente. Insomma, chi la racconta giusta? Forse è arrivato il momento di ritessere la matassa dall’inizio, in quel remoto 1959, molto prima che il gomitolo si ingarbugliasse definitivamente. Lo fa in questa ricerca esclusiva il milanese Danilo Fullin, a suo tempo responsabile del Centro documentazione Corriere della Sera e oggi raffinato cultore della storia dell’alpinismo. Ecco dunque come venne raccontata in via Solferino nel 1959 la conquista, tra luci e ombre, del “grido pietrificato” conclusa con la morte di Egger.

L’ombra di Whymper
L’archivio storico del Corriere della Sera conserva i ritagli originali della tragica scalata al Cerro Torre nel 1959. Il titolo più vistoso riguarda la prima pagina del Corriere d’Informazione, edizione pomeridiana del “Corriere” che allora costava 30 lire. E’ datata 13/14 febbraio. Di spalla, su sei colonne, per la gioia degli strilloni che all’epoca sciamavano nelle vie del centro con le copie fresche di stampa, i caratteri sono, come si diceva in gergo, di scatola: “Maestri espugna il Cerro Torre, Toni Egger muore nell’impresa”. Sommario: “Splendida e dolorosa vittoria dell’alpinismo”.
Il pezzo non è firmato, le parole sono di circostanza: “Il Ragno delle Dolomiti vince la tragica vetta della Patagonia…Una temeraria ascensione degli italiani…Un drammatico cablo ha dato le prime notizie…”.
Bisogna attendere qualche giorno perché il settimanale L’Europeo datato 20 febbraio, con una trionfante Sofia Loren in copertina, mobiliti la firma prestigiosa di Gianni Roghi per ricostruire la disperata notte di Maestri sulle Ande. Il servizio di cinque pagine si apre con un occhiello più furbo che intrigante: “La tragedia del Cerro Torre poteva essere evitata?”. Intriga l’inizio dell’articolo: “La morte di Toni Egger, uno dei due vincitori del Cerro Torre, evoca la sciagura del Cervino, quella dei quattro compagni di Whymper precipitati durante la discesa dopo la conquista della famosa montagna. Anche allora la corda si spezzò, ci furono interminabili polemiche, perfino accuse rivelatesi poi ingiuste”.

Roghi è stato buon profeta? Il richiamo a Whymper e alle polemiche non fa una piega. Il giornalista sembra voler imprimere all’impresa il sigillo dell’epopea destinata a entrare con un certo trambusto nella storia. In apertura, grande primo piano di Maestri con berretto di lana, nelle pagine di giro il povero Egger festeggiato dagli amici alla vigilia della partenza per la sua ultima spedizione, Egger in vetta all’Jirishanca, una mesta immagine della madre di Egger nel sobborgo di Lienz dove condivideva la casa con questo figlio scapolo.
“Era il 29 gennaio, una prima parte della salita era già stata attrezzata con corde fisse”, riferisce Roghi. “Parte in testa Egger, è lui che porta il sacco. Più su quando le difficoltà cominciano a farsi eccezionali, i due si alternano al comando. Il 29 sera si fermano su un esiguo terrazzino agganciandosi a minuscoli chiodi a espansione fissati nella roccia per qualche centimetro e così trascorrono la prima notte. Il 30 ripartono e guadagnano nel corso della giornata altri 300 metri. La muraglia nord ovest su cui salgono, unica via possibile sulla montagna, è di un verticalismo perfetto. La seconda notte la trascorrono appesi ai chiodi. Il 31 si scatena un vento fortissimo e caldissimo e la montagna comincia a sciogliersi. “La montagna si disfaceva in paurose scariche di valanghe”, è il racconto (virgolettato) di Maestri. “Cornici si staccavano con scricchiolii soffocati e piombavano nel vuoto. Riuscimmo a salire ancora e fummo in vetta…”.
Sul Corriere della Sera del 14 febbraio è Dino Buzzati a ricostruire la tragica esperienza senza aggiungere granché di nuovo. Titolo: “Maestri ed Egger sul Cerro Torre. La guida di Lienz perita nella discesa”. Sommario: “Le formidabili difficoltà del picco patagonico corazzato da infidi ghiacci superate dalla cordata italo austriaca”. In un disegno a inchiostro di china di Achille Patitucci sono evidenziati il campo base, la via di salita, la tana delle tormente, gli strapiombi di ghiaccio, il punto in cui era arrivato l’anno precedente Bonatti.

“La difficilissima vetta”, scrive Buzzati, “considerata inviolabile sarebbe stata raggiunta nella notte fra il 31 gennaio e il primo febbraio da Maestri ed Egger”. Il condizionale è d’obbligo, e così conclude Buzzati: “Innumerevoli sono le ipotesi possibili, per sapere non resta che attendere. Ma comunque le cose siano andate il bilancio non muta. Una grande vittoria che avrà un’eco internazionale e un dolorosissimo lutto per la grande famiglia degli alpinisti e per quanti sanno capire la bellezza di tali imprese. Il Cerro Torre si è vendicato crudelmente”.
Tre giorni dopo, il 17 febbraio, il Corriere della Sera riserva al Cerro Torre ancora un articolo di taglio nelle pagine interne in cui “Cesare Maestri racconta la vittoriosa e tragica scalata”. Ma bisogna aspettare il Corriere del 3 marzo perché Maestri firmi una testimonianza in prima persona. Titolo: “Un urlo: attento Toni! Ma Egger fu strappato via”. Ed ecco il racconto del Ragno delle Dolomiti: “La mattina del 30 riprendiamo a salire obliquando verso destra. Andiamo a comando alternato e buchiamo due grandi coni di ghiaccio che richiedono molto tempo. Canali formati dal vento ci aiutano a salire e a recuperare un po’ del tempo perduto. Arriviamo la sera del 30 sul pianoro a circa 150 metri dalla cima. Ancora una tana per la notte, ancora la preoccupazione per quello che sarà la discesa. E arriva la mattina del 31. Il primo salto di circa 70 metri è ripidissimo, quasi verticale. Saliamo senza fermarci per un canalino facile ma pericoloso, ci alziamo un bel po’ fino a un altro piccolo pianoro. Dall’Ovest comincia a soffiare un fortissimo vento caldo. Acceleriamo l’andatura. Toni al termine della sua filata di corda mi urla: la cima! Salgo di corsa con un sapore di fatica nella gola. A circa 50 metri sta la cima. Saliamo insieme mentre il vento continua a soffiare con violenza. Ci sembra impossibile. Io non sono felice. E’ una cima come le altre, quanta fatica, quanto rischio, quanti fattori estranei all’alpinismo mi hanno dato la forza di salire. No, non sono felice. Mangiamo qualche cosa, fotografiamo le bandierine che non possiamo attaccare alle piccozze che ci servono per ancorarci alla cima tanto è forte il vento, per poi scendere più velocemente possibile lasciando sulla cima qualche impronta, il vento che gioca con una latta vuota”.
Danilo Fullin
Leggi in Gogna Blog gli ultimi sviluppi del caso Cerro Torre: http://www.banff.it/ancora-su-maestri-e-sul-cerro-torre/