Cominetti racconta alla moglie il “suo” Cerro Torre

La scalata al Cerro Torre lungo la via dei Ragni tracciata nel 1974 sulla parete ovest del “grido pietrificato” rappresenta un’esperienza concessa a pochi alpinisti di alto rango. La racconta di getto Marcello Cominetti, in questo resoconto mandato alla moglie Marta il giorno stesso in cui è rientrato a El Chalten. Iniziata l’11 dicembre, l’esperienza è stata condivisa da Cominetti – genovese, illustre guida alpina “emigrata” a Corvara, tra i più eclettici alpinisti in circolazione, tra i fondatori di Guide Alpine Star Mountain – con Massimo Lucco e Francesco Salvaterra, e con gli alpini Marco Majori, Marco Farina e François Cazzanelli. Marcello ama le vie in Dolomiti – dove ha aperto molti itinerari anche di alta difficoltà e le grandi montagne patagoniche, gli spazi remoti e i grandi ghiacciai (come lo Hielo Patagonico Sur) che ha più volge esplorato. La via dei Ragni è una scalata di ghiaccio e “misto” lunga circa seicento metri. Fino a pochi anni fa solo relativamente pochi alpinisti vi si sono cimentati, negli ultimi tempi anche a causa della schiodatura della via Maestri sul versante est la Ragni è diventata invece a tutti gli effetti la “normale” al Cerro Torre e può considerarsi una classica di alta difficoltà, certamente una delle vie di ghiaccio più belle e giustamente ambite del mondo. La prima salita della stagione di questa via era stata effettuata già nel mese di settembre da Ermanno Salvaterra, Thomas Franchini e Nicola Binelli. Il 27 dicembre è arrivato in cima da solo e slegato in mezzo alla bufera anche l’austriaco Markus Pucher. Per gentile concessione di Cominetti, pubblichiamo questo suo resoconto della scalata scritto d’impeto, con ammirevole efficacia, e mandato alla moglie Marta. Da notare che la relazione è stata da Marcello, per sua ammissione, “debitamente privata delle frasi sdolcinate”. Integrale è invece la risposta della gentile signora Marta che lo aggiorna dalle Dolomiti sugli ultimi sviluppi della gioiosa nidiata di figli. Grazie Marcello, grazie Marta per le vostre interessanti testimonianze, e buona lettura a tutti gli amici di MountCity!

Campo sull'Elmo
Via dei Ragni, Cerro Torre: il campo sull’Elmo.Nella foto in alto Massimo Lucco, Marcello Cominetti e Francesco Salvaterra in vetta (Ph. © archivio Cominetti, Lucco, Salvaterra)

Cara Marta, siamo tornati da un altro mondo

Siamo partiti giovedì 11 dicembre a mezzogiorno per Niponino. Ci abbiamo messo 6 ore che mi sono sembrate brevi come non mai. Faceva freddissimo e ci siamo ficcati subito in tenda. Una volpe ha rosicchiato le cose che avevamo lasciato fuori, per fortuna roba di poco conto. Alle sette del mattino partiamo per il Colle Standhardt, con la volpe alle calcagna che ci ha seguiti fino ai crepacci terminali. Ci incasiniamo un po’ per delle placche di roccia con un velo di ghiaccio sopra che abbiamo dovuto aggirare. I ghiacciai si muovono e ogni anno cambiano tantissimo.

Guadagnarsi il colle è già una salita importante con ghiaccio bello ripido e tra pareti incredibilmente incrostate di neve ghiacciata che qui si chiama escarcha. In cima al Colle Standhardt ho capito che dovevo smettere di pensare per concentrarmi soltanto su quello che c’era da fare.

Avrei dovuto farlo per due giorni, mi sono detto. Guardavo gli ancoraggi per le doppie sull’altro versante, la neve, le pareti, e i miei compagni con un occhio che non avevo mai avuto. Eravamo soli. Sentivo che stavamo facendo la cosa giusta e che andavamo bene, veloci e sicuri. Dal Colle Standhardt entri in un altro mondo. Ti cali nella bocca del lupo e quando lo avverti pensi che l’unica via d’uscita sia attraverso il suo culo ma è più complicato…Max era estasiato, Franz sempre pieno di energia positiva e io potevo solo esserne contento perché ero a fare il mio lavoro nel miglior posto della terra e in ottima compagnia.

Il meteo aveva detto sabato e domenica tempo buono, così ci siamo fermati al Filo Rosso, abbiamo montato la tenda dentro alla truna che Franz e i suoi compagni avevano scavato a settembre e lì abbiamo dormito. Era molto umido e la notte non è stata bella. Alle 4 di sabato siamo partiti per il Colle della Speranza.

Dopo un’ora di pendii di neve si arriva sotto una fascia rocciosa di 100 m che si supera in 3 tiri di misto facili. Fin lì ero già stato. Poi altri pendii portano a una sella e quando ti giri in su vedi l’incredibile! Ed è proprio li che ti devi infilare. Cavolfiori giganti e bianchissimi traboccano da ogni parete e sotto una crosta inconsistente c’è un ghiaccio durissimo dove le picche e i ramponi rimbalzano come se picchiassero su marmo. Ci vuole un po’ per capire come fare.

Tre tiri sempre più ripidi portano al Colle della Speranza. Metti fuori la testa e vedi il lago Viedma infinito e la steppa, tu sei tra gigantesche palle bianche che non capisci come fanno a star su, ed è che da li inizia un viaggio unico al mondo perché non esiste un altro posto simile a questo. Tutto è bianco in modo esagerato e non c’è un sopra e un sotto ma un dentro o fuori – e noi siamo dentro ormai.

Con 6 tiri siamo in cima a una palla di neve enorme che chiamano Elmo. Sopra c’è posto per montare la tenda, scaviamo una piazzola, attrezziamo un traverso di 100 m che porta alla parte di roccia per proseguire l’indomani e poi ci godiamo il panorama e il pomeriggio che dura fino a mezzanotte. Lo Hielo si allunga lì sotto senza fine, non tira una bava di vento ma l’aria è fredda.

La tenda è una villa di lusso, fa un freddo secco e si dorme la notte migliore, per me. Nella notte sentiamo delle voci: sono gli altri che salgono da sotto e ci raggiungono mentre siamo ancora nei sacchi a pelo a ronfare.

Quando sono passate 4 cordate ci alziamo e facciamo colazione con calma, smontiamo la tenda, lasciamo li un po’ di cose e partiamo alle 3.45 circa per la cima.Vediamo le luci degli altri e ci salutiamo con gli alpini che raggiungiamo presto. Siamo contenti di vederci qui e l’entusiasmo è al massimo per tutti. Io e Franz ci alterniamo da primi. Voglio salire i tiri più duri e Franz è d’accordo. Il ghiaccio mi piace e salgo tranquillo e veloce con pochi chiodi. Una cordata ci lascia passare. Si susseguono tiri su queste pareti bianchissime, dentro tunnel di vetro verde e blu e fa freddo – e ti vesti –  e poi fa caldo – e ti svesti – e poi fa di nuovo freddo. E’ questa la Patagonia: succede sempre il contrario di quello che vorresti.

Arriviamo sullo spigolo che da sul Fitz Roy, la cima della Torre Egger è davanti a noi, alla stessa nostra quota. Ancora un tunnel lungo e buio ma di ghiaccio perfetto in cima al quale si arriva alla sella sotto il fungo finale. La via per salire è un mezzo tubo di neve e poi ghiaccio strapiombante. Per prenderlo si deve fare un traverso e quello che c’è lì sotto è vuoto che mai avevo visto, neppure in Dolomiti. Ti senti come risucchiato da un imbuto infinito. Per la prima volta nella mia vita ho scalato senza voler guardare giù.

Fatto questo tiro si arriva in un cratere di neve dura. Franz parte per un pendio facile, sparisce dietro uno spigolo e poi le corde si intrecciano tutte e tira un vento gelato che risale il tunnel appena scalato. Io e Max ci sleghiamo per sciogliere i nodi mentre Franz continua a tirare. Max bestemmia come un matto e io rido perché so che a questo punto nulla ci può togliere la cima! Ripartiamo dopo almeno 15 minuti di lotta tra i nodi e quando arriviamo da Franz ha un sorriso che parte da un orecchio e arriva all’altro.

Siamo soli, ci sleghiamo e io vado avanti nel punto più alto dei funghi. Il fischio del vento nel cappuccio cambia tonalità mentre mi giro a guardarmi intorno, perché su una cima non c’e’ molto altro da fare. Ma non sono venuto qui per la vista di cui si gode: mentre lascio girare lo sguardo, penso al tempo che è passato da quando sono venuto per salire fin qua la prima volta, 26 anni durante i quali mi sono successe le cose fondamentali della mia vita: sono nati i miei figli, ho vissuto sempre come volevo felicità e dolori.

Via dei Ragni, ultimo tiro
L’ultimo tiro della Via dei Ragni, Cerro Torre (Ph. © archivio Cominetti, Lucco, Salvaterra)

Penso a mia madre e a quello che ha patito per me: come vorrei che mi vedesse adesso! Poi penso a mia moglie e a tutti i nostri figli e penso che dobbiamo ancora scendere.”Ora guai a chi fa una cazzata, la guida sono io che cazzo!”, dico ai miei compagni. Nessuno si deve rilassare dopo la cima, perché scendere da delle robe inconsistenti come quelle non è come attaccarsi ai chiodi nella roccia solida ma è un po’ una scommessa e ogni ancoraggio è diverso dall’altro…

Le doppie scorrevano veloci fino a quando Franz, per un eccesso di prudenza, passa un anello di fettuccia in più su una e si incastra il nodo, in cima al tiro più duro della via, che si deve risalire con i prusik ma è velocissimo. Doppie, doppie e finalmente il colle, la sella dove inizia la neve, gli alpini che ci vengono incontro dalle loro tende, abbracci, pianti, risate, tutto insieme come degli ubriachi. Continuiamo a scendere e a fare doppie su roccia, neve marcia, ghiaccio e di tutto. Poi cammina cammina giù alla truna dove arriviamo verso le 10.

Ci prepariamo una cena fantastica, mangiare era come buttare dei sassi in un pozzo ma alla fine ci siamo sentiti sazi. Dormiamo tutti storti perché il terreno è in pendenza ma dormiamo un sonno di piombo. La mattina partiamo tardi e guadagnare il Passo Marconi ci prende 8 ore e ci prova più della salita al Torre! La neve è marcia, in ogni pesta c’è acqua e ogni passo è diverso, impossibile prendere un ritmo. Finalmente superato il passo ci incastriamo tra le rocce sotto la pioggia ma fanculo, ci cuciniamo una pasta che ci fa rinascere.

In un’ora scendiamo il ghiacciaio Marconi e in altre due arriviamo al Fraile tra raffiche mortali delle solite. Ma quando si varca quella piccola selva di rami di faggio e giri nel boschetto, sembra di chiudere la porta e di entrare in casa. Allora realizzo che è finita e dentro di me mi dico “bravo!”. Dormiamo 12 ore in un letto e la mattina facciamo colazione stravaccati tra sole e pioggerellina delle solite sotto gli occhi inorriditi e meravigliati di un gruppo di americani. Nella strada verso Chalten ci sembra di volare…

Marcello

Caro Marcello, sono emozionata e felice per te

Marcello mio, ci credi che non so cosa dire? Sono così emozionata e felice felice felice per te e per Franz e Max.  Aspetto il tuo racconto quando avrai tempo. Oggi qui c’è finalmente il sole e ora vado a correre così provo a sciogliere il grumo di tensione che ho in testa, mi sembra di avere una noce di cocco al posto del cervello. I bambini stanno benone, Clara continua a prendere bei voti ed è contenta. Arturo ha perso a tennis (mamma mi hanno asfaltato, ha detto) ma ha vinto il torneo di ping pong della scuola ed è sempre con i calzoncini corti perché vuole vincere la scommessa che ha fatto con il suo maestro. Oggi alle 2 fa la recita di Natale, ha una sola battuta: “E che sarà mai?”. E poi suona il flauto alla messa. Sandra lunedì correrà la campestre della sua scuola, tutta la classe conta su di lei e noi saremo a fare il tifo. Isa abbiamo provato a chiamarla ma non ci ha risposto. Le abbiamo spedito i guanti via posta ma forse non sono ancora arrivati. Stasera vado a Torino per la festa di Natale. Non so ancora se dormirò da Molli o da Savina. Vorrei da Savina perché è più vicina alla stazione ma ho paura che Molli si offenda e mi dispiacerebbe. Ora esco che poi a pranzo arriva Clara. Ti amo tantissimo.

Marta

Marcello Cominetti UIAGM-IFMGA. Mountain & ski guide: La Court 35. Livinallongo 32020-Dolomites-Italy. ++39.327.7105289. info@marcellocominetti.comwww.marcellocominetti.com

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