La vera storia di Ninì Pietrasanta, icona dell’alpinismo milanese
Per la milanese Ninì Pietrasanta (1909-2000) abbandonare l’alpinismo dopo tante scalate che l’hanno resa celebre negli anni Trenta fu una scelta che definire obbligata è poco. Fu quasi un “ripudio” per una giovane donna rimasta sola con un bimbo in fasce dopo la morte in montagna del marito Gabriele Boccalatte, a sua volta un superman delle scalate estreme. Sta di fatto che Ninì si sentì tradita da quei monti, la Valle d’Aosta in particolare, che tanto aveva amato, complici del suo idillio con Gabriele che l’aveva adottata come seconda di cordata. Così non volle più saperne di corde, moschettoni, piccozze. E quel suo bambino lo fece crescere amorevolmente facendo però di tutto perché stesse alla larga da cime e pareti tentatrici (per lei perlomeno…), anche se al crepuscolo della sua vita cedette alle lusinghe del Club alpino accademico e ne divenne socia onoraria.
Di Ninì e Gabriele racconta adesso, con la drammaturgia di Raffaele Rezzonico, Gigi Giustiniani, apprezzato regista valsesiano di documentari, in un lungometraggio presentato con successo nell’area “Prospettive” al Filmmaker International Filmfestival di Milano (28 novembre-7 dicembre allo Spazio Oberdan, Cinema Arcobaleno, Cinema Palestrina) con le immagini in 16mm girate dalla stessa Ninì agli inizi degli ’30. Un piccolo prodigio, Giustiniani lo ha compiuto realizzando questo film prodotto dall’associazione La Fournaise (www.lafournaise.it) con il contributo del Valle d’Aosta Doc-FF Film Fund: il risultato lo colloca infatti a un livello diverso e probabilmente più alto rispetto al ghetto, sia pur nobile, del bergfilm o film di montagna. L’attenzione è qui tutta concentrata sulla vicenda umana di Ninì e in particolare del suo figliolo Lorenzo che appare pensoso all’inizio e in chiusura, come attratto da una storia che non sembra appartenergli, dopo che sullo schermo sono sfilate le immagini dei suoi genitori e quelle di lui piccolo che muove i primi passi con l’aiuto di quel papà troppo presto sparito dalla sua vita.
Il commento è tutto affidato agli scritti di Ninì (dal libro “Pellegrina delle Alpi” e dalla Rivista del Cai di quegli anni) e di Gabriele (“Piccole e grandi ore alpine” recentemente ripubblicato nei “Licheni” di Priuli&Verlucca) recitati e come sussurrati da due voci fuori campo, quasi che uscissero da quelle pagine d’album trapunte d’immagini in bianco e nero, ognuna delle quali commentata con didascalie della stessa Ninì con il corredo di eleganti svolazzi in bianchetto.

La storia di Ninì, nel film di Giustiniani, è tutta racchiusa in questa sequenza d’immagini. Tradotta televisivamente con il linguaggio della docufiction avrebbe di sicuro meritato ben altro spazio. La Pietrasanta fu tra le primissime ad andare in giro con una Balilla con l’aiuto della quale praticava con gli amici (tra i quali l’accademico del CAI Leopoldo Gasparotto, trucidato dai nazisti nel ’44) un approssimativo sci d’acqua lungo l’alzaia del Naviglio Grande. Era una donna estrosa, votata all’avventura, un po’ maschiaccio, che si fece notare ai tempi in cui il fascismo prediligeva e propagandava immagini di madri dalle carni sode.
Ninì fu, volente o nolente, anche un’icona della “donna nuova” del regime fascista e lo dimostra nel modo di presentarsi: fascino, indipendenza, pettinatura, vestiti alla moda. Orfana di madre, figlia unica di una famiglia benestante e colta, ha certamente avuto come modello un’alpinista e cineasta come la coetanea teutonica Leni Riefenstahl e i suoi film-manifesto del regime nazista. Quasi in contemporanea con le Olimpiadi di Berlino (1936) immortalate da Leni nel mirabile “Olympia”, anche Ninì ha infatti voluto lasciare traccia della sua creatività al servizio del regime salendo sulla vetta del Bianco con la cinepresa a 16 millimetri per filmare il grandioso giuramento delle reclute delle Penne Nere
Dedita ai vabondaggi, in quegli anni si autobattezzò “Pellegrina delle Alpi”, titolo del suo libro del 1934 ripubblicato nel 2011 in versione anastatica dal CAI. In realtà era o si sentiva una ragazza come tante Ninì, che non voleva competere, ma solo essere se stessa. O almeno, questo lei stessa sostiene negli scritti lasciati in un armadio nella casa di Arese, nell’hinterland di Milano, dove ha vissuto gli ultimi anni della sua vita con Lorenzo, la nuora Anna e la nipote Daniela a sua volta innamorata della montagna: l’unica in famiglia ad avere ereditato la passione per le scalate dalla nonna Ninì facendone tesoro. Per aggiornamenti su programma, sedi e orari: www.filmmakerfest.com – Facebook: Filmmaker Festival
Nell’enciclopedia Treccani la sua biografia
Lo storico Stefano Morosini, autore del saggio “Sulle vette della patria” (Franco Angeli editore, 2009) ha dedicato a Ninì Pietrasanta una voce nell’Enciclopedia Treccani da cui si apprende che a venti anni Ninì si iscrisse alla Sezione di Milano del Club alpino italiano, in un ambiente alpinistico che Massimo Mila definì “più dinamico e intraprendente” in rapporto a quello torinese, al quale egli apparteneva. Accompagnata dalle migliori guide alpine dell’epoca, iniziò a praticare l’alpinismo su ghiaccio e roccia, e ben presto salì le cime più importanti delle Alpi. Il 28 ottobre del 1936 sposò Gabriele Boccalatte e l’anno successivo, il 20 agosto del 1937, nacque il figlio Lorenzo. Poco più di un anno dopo, il 24 agosto 1938, Boccalatte morì travolto insieme al proprio compagno di cordata Mario Piolti da una scarica di sassi sull’Auguille de Triolet. Dopo la morte del marito, annota ancora Morosini, la Pietrasanta interruppe la “passione bruciante” della sua giovinezza e, abbandonato completamente l’alpinismo, prese a dedicarsi alla cura del figlio. Nel 1944 si sposò in seconde nozze con Enrico Rosa, da cui non ebbe figli.