Isabel Suppé “troppo bella per morire”
La sua è una storia di coraggio e di lotta per la sopravvivenza. Isabel Suppé, sopravvissuta a un gravissimo incidente nelle Ande, la racconta nel libro “Una notte troppo bella per morire” (Priuli & Verlucca, collana “I licheni”, 17,50 euro) ed è ora impegnata in un tour di presentazioni in Italia. Nata in Germania, sin da piccina si avvicina alle montagne con i nonni materni (il nonno Walter Lenk era un alpinista famoso nella Germania dell’Est). Trascorre un anno di scambio scolastico in Francia, studia letteratura negli Stati Uniti e poi in Argentina all’Università di Buenos Aires, dove va a vivere. Parla correntemente sei lingue e fa la traduttrice quando decide che le montagne sono la sua vita, dopo un viaggio nella Patagonia argentina in pieno inverno, e si trasferisce a Mendoza, vicino alle Ande. Con traduzioni e il lavoro da guida turistica raggranella i soldi per i suoi viaggi.
Il libro inizia il 29 luglio 2010 con un incidente su una difficile via di ghiaccio dell’Ala Izquierda del Condoriri, montagna di oltre cinquemila metri della Cordillera Real, nelle Ande boliviane. A cinquanta metri dalla vetta il ghiaccio sottile si rompe, Peter Wiesenekker, compagno di cordata di Isabel Suppé, scivola, gli ancoraggi non tengono e i due cadono nel vuoto per quattrocento metri. Peter è gravemente ferito, non è in grado di muoversi e rimane cosciente solo per qualche ora, finché il freddo del ghiacciaio non lo cattura nel sonno senza risveglio dell’ipotermia. Isabel con una frattura esposta e multipla della caviglia destra non si arrende: è viva e non vuole morire.
Si trascina per due notti e due giorni, lasciando una scia di sangue sul ghiaccio, cercando di raggiungere il colle dal quale era passata il giorno precedente, per chiedere aiuto con segnali luminosi. Lotta contro le allucinazioni dell’ipotermia, contro il dolore della ferita al piede e il mattino del secondo giorno i soccorsi arrivano.
Comincia l’altra storia, quella della battaglia contro l’impossibile recupero dell’uso del piede destro pronosticato dai medici. Quattordici operazioni, mesi di fisioterapia “inventata” e rubata nella palestra riservata a malati di altri reparti, migliaia di chilometri attraverso l’Europa, il nord Africa e gli Stati Uniti su una bicicletta chiamata “Rocinante”, proprio come il cavallo di don Chisciotte, simbolo del nobile sognatore che lotta contro l’impossibile, sono il prezzo che Isabel Suppé paga per ritornare a camminare, a scalare, a vivere pienamente le sue passioni.
Scrive il racconto della sua morte e del ritorno alla vita, in spagnolo perché in tale lingua ha compiuto gli studi letterari, mentre pedala attraverso tre continenti e dopo l’ultimo intervento viene in Italia a firmare il contratto con l’editore italiano con una hand bike (una bicicletta con manovelle mosse dalle braccia al posto dei pedali).
Oggi Isabel Suppé cammina in piano senza ausili, in montagna va però con le stampelle per meglio sopportare il peso dello zaino e le discese, arrampica e viaggia. E’ fiera di poter dire che “impossibile” non esiste.
Oriana Pecchio