La straordinaria avventura dei “collezionisti di montagne”

Fra tanti patrimoni dell’umanità non tutti e non del tutto giustificati, il Museo nazionale della montagna meriterebbe di trovare una degna collocazione. Martedì 18 novembre 2014 al Monte dei Cappuccini ha festeggiato i suoi 140 anni con una mostra, un libro e quattordici simboliche candeline (dovevano per l’appunto essere 140…) su una torta di gianduia. Una festa in famiglia con tanti amici saliti al Monte dei Cappuccini, tanti volti giovani e una carica di entusiasmo che la dice lunga sull’inesausta vitalità di questa istituzione del Club Alpino Italiano.
Una vitalità che non si basa certo soltanto su cimeli, vecchi scarponi chiodati, album ingialliti ma che rispecchia la voglia di andare avanti di una montagna che non si arrende alla crisi e allo spopolamento e che proprio in questi giorni a Torino è passata al setaccio della XIII Conferenza delle Alpi. Di questa vitalità è testimonianza ai Cappuccini un sistema museale d’avanguardia comprendente, oltre all’area espositiva e allo spazio per gli incontri, anche un’area documentazione, una cineteca, una fototeca, un centro studi per le spedizioni extraeureuropee, l’area museale del Forte di Exilles in Valle di Susa, una biblioteca di montagna tra le più fornite del mondo e molto altro ancora.
Proprio nella Sala degli Stemmi dove si sono celebrati i 140 anni del Museomontagna, la Commissione per la protezione delle Alpi (Cipra Italia), a cui il Cai aderisce, ha promosso in questi giorni il seminario “Popolazione e cultura: le Alpi di oggi”, nel corso del quale si è parlato di ritorno alla montagna, della creatività alpina, dell’innovazione sostenibile, dell’uso delle nuove tecnologie nelle aree remote e di tutto ciò che concerne la montagna abitata a partire dalla Dichiarazione Popolazione e cultura, adottata dalle Parti contraenti nel 2006.
Il volume che racconta con testi e immagini, a cura di Aldo Audisio e Veronica Lisino, la storia del museo si intitola “Collezionisti di montagne” (272 pagine in grande formato) ed è il settimo e ultimo della serie dedicata alle raccolte di documentazione del museo, frutto di una collaborazione con Priuli & Verlucca. Autori del libro, con Audisio e la Lisino, conservatrice del Centro documentazione – Fototeca, sono anche Gilberto Merlante conservatore del Centro Italiano Studi e Documentazione Alpinismo Extraeuropeo, Cristina Natta-Soleri conservatrice del Forte di Exilles, Alessandra Ravelli responsabile dell’Area documentazione e Biblioteca Nazionale e Marco Ribetti conservatore della Cineteca storica e Videoteca.

I differenti capitoli del volume, oltre a costituire un viaggio nei singoli ambiti di interesse, permettono di farsi un’idea precisa del materiale presente, del tipo di oggetti conservati, dei lavori condotti in tanti anni di ricerche per valorizzare il materiale inventariato e catalogato. Perché il Museo, oltre alla conservazione e cura del suo patrimonio, ha sempre cercato di implementare operazioni di studio, di contestualizzazione e di indagine sulle fonti documentali. La mostra aperta fino al 26 nasce poi dalla consapevolezza del possedere un grande patrimonio, che è chiuso nei depositi e negli archivi solo per mancanza di spazio, non perché meno interessante di quello nelle sale.
A scavare in questa preziosa miniera è stato Marco Ribetti, ancora provato per l’immane lavoro compiuto. Ci si può infatti immaginare che cosa voglia dire scegliere tra 260 mila pezzi e collocare il meglio nel contesto di un percorso espositivo impreziosito da manifesti, filmati, costumi delle nostre vallate. Ed è comprensibile la commozione, peraltro ben mascherata dietro il suo à plomb piemontese, del direttore Aldo Audisio soffiando sule candeline della torta di compleanno insieme con il suo predecessore Raffaele Natta Soleri che 36 anni fa gli ha ceduto il testimone.

Ma una realtà come il Museo, sarebbe immaginabile in una città italiana diversa da Torino? “Va ribadito che Torino ‘è’ le sue montagne”, spiega Audisio,”e che le montagne sono il CAI, e che il CAI è Torino. È un percorso che non si interromperà mai. E a Torino c’è un altro simbolo importante: il Monviso la cui inconfondibile silhouette fa parte dello skyline della città. Non a caso i partecipanti al primo convegno del Club alpino partirono in carovana da Torino verso le sorgenti del Po e, a Pian del Re, Vittorio Besso li immortalò davanti all’acqua che sgorga. In un’immagine divenuta un’icona tutti in gruppo, abbigliati da alpinisti, aggregati dal “simbolo” della bandiera. È l’omaggio degli alpinisti del piano alla loro montagna-simbolo, su cui Quintino Sella compì la benaugurale salita che portò nel 1863 all’ideazione dell’associazione alpinistica nazionale. Come si sa, pochi anni dopo la fondazione al Castello del Valentino, la storia del CAI Torino, saldamente legata come si è detto alla collaborazione con la Città di Torino, si trasferiva al Monte dei Cappuccini. Il 9 agosto 1874 la sezione invitava infatti i soci del sodalizio, ormai diventato una struttura con organizzazione nazionale, all’”inaugurazione del chiosco al Monte dei Cappuccini appositamente costruito dal Municipio di Torino per la veduta delle Alpi”. Chiosco che assumeva il nome pomposo di Vedetta alpina garantendo, nelle giornate di tempo sereno, un panorama all’orizzonte di circa 450 km di montagne. L’inaugurazione della struttura costituì di fatto la nascita del Museo nazionale della montagna del CAI-Torino. La collaborazione con la Città di Torino si è più volte rinnovata e nel 2005 è stata alla base dei lavori e dei riallestimenti che hanno portato l’attuale museo a diventare il più grande museo di settore del mondo”.
Quale è stato finora il ruolo del Club Alpino Italiano nel “collezionare montagne”? “Collezionare le montagne”, spiega ancora Audisio, “è stato un percorso che, senza interruzioni ha affiancato l’attività del CAI dalla fondazione ad oggi. È stata un’azione sempre identificata con Torino e con il Monte dei Cappuccini nonostante il mutare delle situazioni politiche, di vita e di costume. Sempre guardando lontano – ieri come oggi – a quell’interminabile panorama di Alpi all’orizzonte che portò i primi soci ad allestire la Vedetta Alpina. Attualmente il museo vuole essere un polo culturale che unisce idealmente, sotto tutti gli aspetti, le montagne del mondo intero. Da tempo vanno infatti intensificandosi i progetti culturali. E, soprattutto il meglio di questa esemplare attività viene “esportato” all’esterno. Le esposizioni, sempre curate direttamente dal Museo, si allestiscono in sedi itineranti in Italia, in Europa e in quattro continenti. Sono convinto che, anziché Museo della montagna, l’intestazione esatta dovrebbe essere Museo delle montagne. Montagne del mondo, intendo”.

Un valore inestimabile
Il Club Alpino Italiano offre oggi al Monte dei Cappuccini una delle più moderne aree di documentazione specializzate. Migliaia sono i libri provenienti dalla Biblioteca Nazionale CAI (definitivamente trasferita lassù nel 2005 dalla storica sede di via Barbaroux 1) e ricchissime le collezioni di documentazione del Museomontagna: raccolte di rari documenti, fotografie, libri di guide alpine e rifugi, di manifesti ormai introvabili, e poi ancora film, video, dal valore inestimabile, mappe e relazioni di scalate sulle montagne di tutti i continenti extraeuropei sono a disposizione dei soci e dei cittadini per una rapida consultazione grazie a un riordino capillare che ha impegnato per anni personale specializzato. In pratica si sono voluti “centralizzare” collocandoli su tre piani, quattro fondamentali servizi: la Biblioteca Nazionale CAI, il Centro Documentazione Museomontagna, la Cineteca Storica e Videoteca Museomontagna e il Centro Italiano Studio Documentazione Alpinismo Extraeuropeo (CISDAE). Centralizzati nel rispetto delle autonomie e delle identità di ciascuna struttura, al servizio del pubblico e degli studiosi.