Steve House e il manuale sul “nuovo alpinismo”
L’Assemblea 2014 dell’Unione internazione delle associazioni alpinistiche (UIAA) ha premiato con l’UIAA Achievement Award l’americano Steve House per i suoi meriti come scalatore, ma anche come mentore e insegnante per i giovani alpinisti. House è infatti l’autore nel 2014 di un importante manuale dal titolo “Training for the new alpinism: a manual for the climber as athlete”. Nel libro, racconta dapprima del suo tirocinio nel 2003 con gli insegnamenti di Scott Johnston, suo partner nel 2010 anche nella progettazione del volume. A Scott è affidata la parte legata alla preparazione atletica, mentre Steve cura la preparazione alpinistica.
Tre anni sono stati necessari per portare a compimento l’opera che avrà prossimamente una traduzione in Italia. “Abbiamo operato con grande impegno per dare vita a un manuale adatto a ogni tipo di scalatore, qualsiasi sia il suo livello di preparazione”, spiega Steve House. “La mia speranza è che ogni lettore sia in grado di applicare le strategie che io stesso ho usato nella progressione”.
Particolare importante. Una parte del ricavato dalla vendita del manuale di House è destinato alla Baltistan Education Foundation che l’alpinista stesso ha concepito durante una spedizione del 2004 nelle regioni settentrionali del Pakistan. Compito del BEF è di fornire un supporto finanziario agli studenti nella regione più vocata all’alpinismo in cui svettano quattro dei tredici ottomila della catena himalayana.
Nato nell’agosto del 1970 in Oregon, Stati Uniti, Steve House approda all’alpinismo dopo un primo soggiorno in Slovenia, durante un periodo di scambio con la scuola, grazie anche alla sensibilità della famiglia ospitante che, vedutolo scontento e malinconico, pensa di assecondare le sue inclinazioni per la natura e l’attività all’aperto facendogli incontrare il gruppo che si raccoglie intorno al club alpino locale.
Lì muove i primi passi sulla bellissima roccia della regione del Triglav. È con il gruppo di alpinisti sloveni che si ritrova per la prima volta ai piedi del Nanga Parbat, la nona più alta montagna della Terra, a soli 19 anni. L’incontro è folgorante. Da quella esperienza si stende un filo rosso che lo condurrà poi nel 2005 a diventare uno dei migliori alpinisti di alta quota, quando con il compagno Vince Anderson, sale e ridiscende in soli sette giorni un’elegante linea di salita in puro stile alpino, sulla parete himalayana più elevata e tra le più insidiose di tutta la catena, la Rupal.

Comincia a tal punto la sua attività come aspirante guida presso l’American Alpine Institute in Bellingham, Washington, e si guadagna il certificato di guida alpina riconosciuto dall’American Mountain Guide Association nel settembre 1992, in occasione di una delle prime sessioni di esame guide organizzate negli Stati Uniti. Dopo aver conseguito con successo anche l’esame di guida su roccia nel 1998, l’anno successivo diviene il settimo americano a ricevere il diploma riconosciuto dalla International Federation of Mountain Guide Associations.
Alternando a esperienze professionali con clienti realizzazioni personali, House comincia ben presto a essere notato dai più forti scalatori di misto – ghiaccio e roccia – che da anni frequentano le Montagne Rocciose americane nello stato di Washington e canadesi nel British Columbia. Tra gli altri, da alpinisti come Barry Blanchard, Joe Josephson, Alex Lowe e Mark Twight. In quelle regioni ci sono smisurate pareti verticali solcate da esili e improbabili colate di ghiaccio che risalgono, anche grazie alla tecnica della piolet-traction, in condizioni invernali e di isolamento totali (decine di chilometri di percorso con gli sci li separano dall’ultimo avamposto della civiltà). Sono montagne come il Mount Robson e la sua famigerata Emperor Face, il Mount Baker, il Mount Hunter in Alaska, il Mount Logan, il Mount Foraker e il Mount Alberta in Alberta.
Altro grande polo di attrazione per House sono le pareti, gli speroni e i couloir ghiacciati della prima vetta del Nordamerica, il Mount McKinley (anche noto come Denali, 6194 m). È qui che apre importanti vie di misto a partire dalla metà degli anni Novanta, in cordata e in solitaria, in estate e in inverno.
Steve House è considerato uno dei principali sostenitori dello “stile alpino” con un ridotto quantitativo di materiale, prediligendo la velocità d’azione garantita solo da un meticoloso allenamento e da notevoli capacità tecniche; la sua etica ferrea comporta anche il totale rispetto per l’ambiente in cui si confronta durante la scalata, che avviene senza l’ausilio di corde fisse e bombole d’ossigeno.
“Nessuno di noi, e certamente neppure io”, spiega House, “ha tutte le risposte: tutti gli ambientalisti sono ipocriti. Ogni cosa che faccio incide sull’ambiente e mi chiedo: faccio abbastanza per a minimizzare il mio impatto? Sulla mia montagna preferita del Nord America, il Denali (Mount McKinley), ci sono corde fisse permanenti sul West Buttress, la via normale, sulla quale salgono o tentano di salire un migliaio di alpinisti all’anno. Un servizio delle guide patentate, coadiuvate talvolta dai ranger del National Park Service (NPS) e da volontari, mantiene efficienti queste corde. Anch’io ho aiutato. Tuttavia dovremmo cominciare a scalare montagne e smetterla di scalare corde. Qual’è oggi la situazione? Corde fisse, bombole di combustibile e materiale vario di arrampicata sono abbandonati su ogni montagna himalayana di un certo nome. E invece dovremmo riportare a casa ogni cartina di caramella. Immaginate, se trattassimo i dintorni di casa nostra come trattiamo l’alta montagna, quanta spazzatura si accumulerebbe…”