Premio Meroni, VII edizione. Sfilano i gentiluomini della montagna (1)

Giunto al traguardo del settimo anno, il Premio Marcello Meroni organizzato dalla Scuola Silvio Saglio della Società Escursionisti Milanesi, viene assegnato a persone o gruppi di persone amiche della montagna che hanno operato, con particolare impegno profuso a titolo volontaristico, in uno dei seguenti ambiti: alpinismo, solidarietà alpina, tutela e valorizzazione dell’ambiente e delle risorse montane, conoscenza e promozione della cultura alpina e alpinistica, scienza, didattica, storia e tradizioni della gente di montagna.

A ricordo e testimonianza delle passioni e degli interessi dell’istruttore di alpinismo Marcello Meroni, a cui è intestato il riconoscimento, le iniziative devono essere caratterizzate da uno oppure più dei seguenti elementi: originalità, valenza sociale, solidarietà, dedizione e particolari meriti etici e culturali. 

E’ possibile a chiunque proporre entro il 5 ottobre candidature scaricando il “modulo” e la “scheda del candidato” e inviando il tutto, opportunamente compilato, all’indirizzo e-mail premiomarcellomeroni@caisem.org La giuria ne terrà il dovuto conto nel formulare il verdetto inappellabile, avendo a disposizione (e questa è una novità dell’edizione 2014) quattro premi per le categorie alpinismo, solidarietà, cultura, ambiente, oltre a una menzione speciale facoltativa.

Per maggiori informazioni consultate la pagina ufficiale sul sito della Sem. Qui sotto i link per il bando e, qualora vogliate proporre un candidato, il modulo e la scheda da riempire.

Ecco ora, a cura della redazione di MountCity, una prima serie di ritratti dei finalisti delle passate edizioni.Gli altri seguiranno.

Aliprandi consultano carta
Laura e Giorgio Aliprandi (ph. R. Serafin)

LAURA E GIORGIO ALIPRANDI (2013). Per pura passione sono diventati i più grandi esperti di cartografia storicaMilanesi, Laura e Giorgio Aliprandi rappresentano uno dei più significativi esempi di passione per la montagna espresso non solo con la lunga e attiva frequentazione, specie della Val D’Ayas e del Monte Rosa, ma ad essa associando un impegno culturale di rilievo, con la quasi quarantennale dedizione allo studio della cartografia alpina, soprattutto delle Grandi Alpi. Studio di veri e appassionati ”dilettanti” nel più alto senso etimologico, giacché normalmente impegnati nelle rispettive professioni di medico e farmacista; ma il loro impegno e la corretta metodologia di studio li hanno portati a raggiungere l’alto grado di vera ricerca scientifica a livello accademico. Anzi, in Italia possono essere considerati come gli studiosi più avanzati nell’ambito della cartografia storica alpina, giacché prima di loro mai si era affrontato lo studio di questa disciplina con simile ampiezza e varietà di prospettive. La familiarità con l’alto territorio alpino è stata una componente fondamentale allo sviluppo delle loro analisi, facilitandoli nelle verifiche sul campo, poiché teorie e analisi delle carte geografiche, in quanto descrizione approssimata del territorio, è essenziale siano associate a verifica sul terreno.

La loro vasta cultura è altresì stata utile per dedurre dalle carte quelle informazioni di carattere storico, geografico, economico che implicitamente sono racchiuse nelle carte e sono deducibili solo con l’attenta e paziente osservazione e decifrazione di simboli, sigle, segni che con l’esperienza hanno imparato a individuare. La loro metodologia di indagine è prettamente scientifica basata su fonti e fatti verificati e perciò le loro deduzioni sono sempre corrette e prive di quelle fantasiose suggestioni che talvolta si trovano in autori non altrettanto scrupolosi.

Strumento fondamentale per i loro studi è la loro preziosa collezione di carte geografiche e di libri e stampe sulle Alpi. Anche il loro collezionismo mirato non solo al puro possesso, bensì al suo utilizzo a fini culturali sia un loro titolo di merito e un significativo esempio da imitare. I loro libri e carte sono serviti sia a illustrare le molte pubblicazioni da loro edite sia ad accompagnare l’esposizione durante le innumerevoli conferenze effettuate in Italia e all’estero, promuovendo così una ammirevole opera divulgativa. Da semplici appassionati della montagna e raffinati collezionisti si sono trasformati in una vera autorità nel campo della cartografia storica la cui rinomanza ha valicato i confini, testimoniata dagli inviti ad allestire esposizioni della loro raccolta cartografica in Francia e Svizzera, dove le loro più importanti pubblicazioni sono ora tradotte e apprezzate.

ALPITEAM (2011). Da anni una fertile collaborazione con le comunità di recupero. Il gruppo Alpiteam, nato nel 1986, non appartiene a una particolare sezione del CAI, ma mette le proprie strutture tecniche e i propri istruttori a disposizione di tutte le sezioni, gruppi e associazioni che ne richiedano l’intervento. Oltre a organizzare corsi classici nelle varie sezioni, da anni svolge la sua attività in ambito sociale, promuovendo e realizzando corsi di alpinismo presso le Comunità che si occupano di disagio giovanile. Pioniera nell’intuire come l’esperienza dell’alpinismo e “dell’andare in montagna” possa rappresentare un momento educativo di crescita e di recupero psicosociale, l’organizzazione ha programmato negli anni numerosi corsi dedicati ad allievi particolari.

Il portare ragazzi con vissuti molto pesanti (tossicodipendenze, per esempio) ad affrontare un’ascensione decisamente impegnativa, non è mai un puro esercizio fisico ma diventa soprattutto un’importante lezione di vita. Salire una montagna difficile, arrivare in cima, può far capire – e lo si capisce con il proprio corpo, in modo forte e coinvolgente, non solo attraverso la “testa” – che se si usano gli strumenti giusti si può raggiungere il proprio obiettivo. L’esperienza della cordata, dove anche il secondo gioca un ruolo fondamentale, rende consapevole il ragazzo che c’è bisogno di lui, che senza di lui, che fa sicura, che è in grado di bloccare un eventuale volo, non si sarebbe mai arrivati in vetta. La parete, la grande natura e la montagna, come ambiente “altro e grande” rispetto allo spazio limitato e “chiuso” delle periferie urbane, mettono in gioco valenze e dinamiche importanti sia per il singolo sia per la comunità. La percezione dei propri limiti, la responsabilità verso il gruppo e il compagno, l’autocontrollo, la fiducia in se stessi e negli altri, la paura, le difficoltà e la lotta per raggiungere la meta sono tutti momenti che servono a conoscere, ad aprirsi a orizzonti diversi e al rapporto con gli altri e in particolare l’adulto. Questi approcci e temi sono centrali anche per chi opera nel campo dell’aiuto ai giovani più emarginati; queste esperienze fanno della montagna (e della parete nel caso dell’arrampicata in falesia) un ambiente privilegiato dove operare.

Questa meritevole iniziativa è resa possibile grazie alla professionalità, dedizione e voglia di “fare” del gruppo di istruttori della scuola Alpiteam. Il successo dei corsi nati in collaborazione con le comunità di recupero, operanti nell’ambito della tossicodipendenza e dei minori disadattati, ha reso da subito evidente, per i ragazzi ospiti delle stesse comunità, l’alto valore umano e formativo dell’iniziativa.

ROLANDO BARNABA (2008). Una storia di coerenza, onestà e altruismo nel racconto della figlia. E’ stata la figlia Simona a candidare nel 2008 Rolando Barnaba poco dopo la sua scomparsa. Milanese, Barnaba era conosciuto come uno dei più brillanti progettisti di impianti per la produzione del cioccolato. Era un uomo politicamente impegnato nelle fila degli extraparlamentari di sinistra, amante degli animali e della montagna. Iscritto al CAI sin da giovane, ha coltivato questa sua grande passione per la montagna dopo la pensione con assiduità e costanza. “Non so spiegare fino in fondo perché ho deciso di candidare mio padre al Premio Marcello Meroni”, spiega Simona, “ma essendo io una persona razionale, ho pensato fosse un modo per placare l’infinito dolore dovuto al vuoto lasciato dalla sua mancanza. La sua è una storia di coerenza, onestà, libertà, generosità, altruismo e intelligenza. In tutta la sua esistenza, mio padre ci ha fatto comprendere il significato delle parola costanza e impegno. Gli veniva naturale portare a termine le cose; è qualcosa che ha sempre caratterizzato la sua vita e le sue scelte. E’ sempre stato un trascinatore. Ricordo ancora quando un giorno andammo in Grignetta: siamo partiti al mattino presto e, nonostante io dicessi di non sentirmela, lui ha saputo con la sua costanza condurmi fino in cima”.

Bedogni vince premio Meroni copia
Vittorio Bedogni riceve le congratulazioni di Nicla Diomede, componente del Comitato promotore. ph. R. Serafin

VITTORIO BEDOGNI (2009). Una vita dedicata alla formazione e allo studio di materiali e tecniche Vincitore dell’edizione 2009 del premio, Vittorio Bedogni nasce… iscritto al CAI Legnano e questo vorrà pur dire qualche cosa per la sua futura attività nel sodalizio! Dal 1969, ininterrottamente nel consiglio direttivo, ricopre più volte la carica di presidente della sezione offrendo un decisivo contributo la crescita del sodalizio. È stato socio fondatore, nel 1975, della Scuola di alpinismo e scialpinismo “Guido Della Torre”, dopo l’esperienza del primo corso sezionale di alpinismo nel lontano 1972. Da allora si fa parte attiva per la formazione umana e alpinistica soprattutto dei giovani. Il suo indiscutibile rigore, l’aria austera e autorevole ne fa, dicono i maligni, il “terrore di tutti gli ISA lombardi” per almeno 15 anni.

È in effetti un leader riconosciuto e animato da solide convinzioni, messe al servizio degli altri con autorevolezza e sapienza. Encomiabile è l’attività sia nella scuola Regionale di scialpinismo sia nella Commissione Regionale Lombarda Materiali e Tecniche (CRLMT) nell’ambito della quale ha collaborato conducendo prove di estrazione chiodi, nuts, friends e viti da ghiaccio. In collaborazione con il Centro Studi Materiali e Tecniche (CSMT) ha partecipato a studi e sperimentazioni sulla resistenza delle corde su spigolo.Impegno che ha sempre affrontato con competenza tecnica di alto livello.

Rappresentante italiano CAI nella Safety Commission della UIAA, Bedogni è autore e coautore di molte pubblicazioni presentate in ambito internazionale. Studioso appassionato, è autore di modelli di calcolo applicati allo studio della catena di sicurezza in varie configurazioni e per differenti tecniche di assicurazione nonché allo studio della “sosta”. La motivazione della sua candidatura? Eccola: “Per la sua attività, che da più di 35 anni è rivolta alla formazione delle persone e allo studio dei materiali e delle tecniche dell’alpinismo. Vittorio ci ha reso, in questi anni di operoso lavoro, non solo più sicuri sulle montagne ma ha formato alpinisti migliori e soprattutto uomini e donne animati da solide convinzioni di vita e consapevolezza dell’essere”.

ENRICO BENEDETTI – BENO (2010). L’inventore delle “montagne divertenti” è un’inesauribile fucina d’iniziative. Nato nel 1979 a Sondrio, fin da bambino Enrico Benedetti coltiva la passione per la montagna, specialmente per le vette meno frequentate e raggiungibili solo dopo lunghi avvicinamenti. Pratica la corsa in montagna e unendo questa attività con l’alpinismo ha realizzato performance di grande valore, tra cui la più nota è la salita e discesa dalla vetta del Pizzo Bernina partendo e tornando a Sondrio in sole 13 ore e 14 minuti (29 luglio 2008). Accanto a ciò vanta alcune prime discese con gli sci (Cavalcorto e Punta Moraschini in Valmasino, Pizzo Scalino e Vetta di Ron in Valfontana) e lunghissimi concatenamenti di cime. Vive la montagna in modo totalmente libero e scanzonato, cercando di condividere con gli altri questa filosofia.

Da sette anni è editore e redattore del trimestrale di cultura alpina “Le Montagne Divertenti” in cui, aiutato da oltre 40 collaboratori, parla di Valtellina e Valchiavenna, di uomini e montagne, di storia e leggende che appassionano migliaia di lettori. Da anni si prodiga nella pulizia di sentieri e nella risistemazione di strutture alpine, tra cui il bellissimo bivacco all’Alpe Montirolo, rimesso in piedi nel 2008 senza l’ausilio di alcun mezzo meccanico, un po’ come si faceva cent’anni fa. Benedetti organizza con il Gruppo Giovani Valtellinesi del CAI, di cui è uno dei fondatori, iniziative che avvicinino i giovani alla montagna e al CAI. Ricordiamo: il Sondrio Street Boulder (manifestazione di arrampicata tra i palazzi della città di Sondrio), Armonie del Bernina (primo concerto pop-rock tra i ghiacciai perenni – tutti i partecipanti sono saliti a piedi!), Bob Pride (slittata notturna in maschera).

Benedetti, detto anche “Beno” si è distinto in questi anni soprattutto per avere dato vita praticamente da solo, poi coadiuvato da numerosi collaboratori, alla bellissima rivista (www.lemontagnedivertenti.com) il cui titolo sintetizza la sua concezione della montagna. In questa rivista vengono trattati non solo temi strettamente legati all’alpinismo, ma anche argomenti culturali di vario spessore, sempre legati al mondo della montagna.

MARIO BERTOLACCINI (2011). Un maestro discreto e sempre disponibile nel campo della didattica e della sicurezza. Di origine altoatesina da parte di madre, Mario Bertolaccini è nato a Milano il 30 novembre del 1937. Professore universitario, persona molto schiva ma di grande disponibilità, ha messo a disposizione la sua grande cultura e preparazione a favore della Scuola Silvio Saglio della SEM Milano e di tutte le scuole italiane del CAI. Istruttore nazionale, è stato responsabile per un decennio dei corsi di alpinismo della scuola. Molteplici sono stati i suoi incarichi e fondamentale il suo contributo alle scuole sia nazionali sia regionali e sezionali di alpinismo del Club Alpino Italiano. Nel 1985, dopo anni di lavoro e studi, crea la Commissione Regionale Lombarda, ne diventa il primo presidente, riorganizza e ristruttura le dispense delle lezioni teoriche distribuendole alle scuole sezionali di alpinismo regionali, collabora con la Commissione Materiali e Tecniche: le sue lezioni riguardanti le caratteristiche dei materiali e la sicurezza in montagna sono sempre state un fondamentale punto di riferimento. Durante la sua presidenza della Commissione Lombarda crea la scuola Regionale Lombarda dandole una connotazione ben precisa, ristruttura le lezioni pratiche e inserisce nuovi concetti fondamentali riguardanti la sicurezza in montagna.

Al termine del suo mandato durato circa otto anni, diviene membro della Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e Scialpinismo italiane, quale vicepresidente responsabile del settore alpinismo mantenendo l’incarico per circa sei anni. Partecipa alla riforma delle scuole italiane tuttora in auge, scrive i regolamenti della CNSASA, e definisce lo statuto delle scuole sezionali di alpinismo.

Direttore della Scuola Centrale di Alpinismo, durante il suo mandato coordina e collabora alla stesura del prima edizione del manuale di “Tecniche di ghiaccio” (alcuni capitoli, argomenti e disegni, sono stati riutilizzati nella successiva edizione del manuale “Tecniche di ghiaccio e misto”). Come alpinista ha salito numerosi pareti dell’arco alpino: il Couloir du Diable al Monte Bianco, la Nord della Aiguille Verte al Bianco, la Via Bumiller al Piz Palù (Bernina), la Via degli Scoiattoli alla cima Scotoni, la Via Costantini Appollonio alla Tofana di Rozes, la Via Cassin alla Piccolissima di Lavaredo, la Via Cassin alla Ovest Lavaredo, lo Spigolo Giallo alla Piccola di Lavaredo, la Via Detassis alla Brenta Alta, la Solleder al Sass Maor, la Solleder alla Nord-Ovest della Civetta, e tante altre.

E’ stato insignito del premio Gilardoni La Torre per il suo operare nel campo della didattica e della sicurezza e per il suo impegno globale nel modo delle scuole di alpinismo. Indubbiamente la sua figura rientra a pieno merito nelle finalità per cui è nato il premio Marcello Meroni.

DON AGOSTINO BUTTURINI (2009). Il sacerdote alpinista che ha “allevato” generazioni di provetti alpinistiA lungo parroco a Morterone, paese di montagna a 1070 metri di altezza, don Agostino Butturini nutre un amore per questo paesino ampiamente ricambiato: “Morterone, che ha finalmente perso il primato di Comune più piccolo d’Italia che ci dava un poco fastidio, è un paese vivace anche culturalmente”, spiega. “Mi reco in parrocchia la domenica, a ogni festività e d’estate ad agosto, quando con i turisti e i villeggianti Morterone arriva fino a 300 persone.

Dal punto di vista religioso i miei fedeli sono molto interessati e attivi. Non è una solitudine accentuata, comunque: sotto certi aspetti la gente preferisce fare un salto su a Morterone anche da altri paesi e da Lecco o Milano e godersi il panorama prima di presenziare alla Messa”. Fondatore del gruppo di scalatori dei Condor, don Agostino è a proprio agio in questa realtà. Ha scritto un libro che si intitola “La storia dei Condor di Lecco”. “La montagna”, spiega, “mi ha aiutato a portare tanti ragazzi in vetta quando era tabù portarli in montagna. Ora li portano tutti, però facendosi pagare. Anche Morterone mi è congeniale, tutto sommato non è una fatica essere preti qui. Certo, sono insegnante di religione e responsabile della scuola media al Collegio Volta di Lecco, ma quando vengo a Morterone sono felice: i fedeli sono tutti uguali, di montagna o di città che siano. Forse in montagna c’è gente più dura, riservata, ma anche più ricca interiormente, più sincera e schietta. Mi piace tutto questo”.

Il gruppo Condor nasce dunque a Lecco nel 1975 intorno a don Agostino, educatore dal grande ascendente sui ragazzi, che coniuga una notevole vivacità intellettuale e una fortissima passione per la montagna, elementi che riesce a convogliare in un percorso educativo. Tale percorso assume negli anni, proprio all’interno del Gruppo Condor, connotati del tutto inediti per il contesto in cui si trova a operare: il periodo a cavallo tra l’alpinismo tradizionale e il radicale rinnovamento dei primi anni ’70. Con queste premesse, si può capire un po’ meglio il motivo per cui un giovane prete abbia avuto l’idea di usare proprio la montagna come campo di insegnamento per un gruppo di ragazzi che passano dall’adolescenza all’età matura attraverso l’arrampicata. Vista la giovanissima età dei protagonisti si tratta perlopiù di un misto fra scalata e gioco, per poi passare a momenti di proprio e vero alpinismo di buon livello. Hanno fatto parte del gruppo Condor ragazzini diventati famose guide del Lecchese: i fratelli Rusconi, Fabio Lenti, Marco Della Santa, Pietro Corti e molti altri. Racconta Corti: “Don Agostino fu l’anima dei Condor e il genio scopritore del giardino di pietra in zona Chiusa della Valsassina. Non osammo mai avvicinarlo e, in fondo, sbagliammo. Semplicemente saremmo stati partecipi di un’avventura con una guida sicura”.

A un paio di decenni di distanza ecco che, come nelle migliori tradizioni, si può mettere a fuoco quello che il tempo ha sedimentato: generazioni di bambini che hanno potuto vivere l’esperienza della montagna nel momento più frizzante della vita. I valori, l’amicizia, la voglia di giocare, confrontarsi, crescere hanno potuto esprimersi semplicemente inventando movimenti su sassi che, portando acrobati in erba sempre più lontano da terra, insegnavano a prendere confidenza con il vuoto e il futuro. E’ questo in fondo il grande pregio del “don”: aver lasciato esprimere l’esuberante irrequietezza di chi sta crescendo insegnando un gioco che ha regole precise, “se no te se cupet…”. E l’avventura continua.

LUCIANO BERTOLINA (2011). La Valfurva gli è grata per l’instancabile attività di organizzatore. Nato a Valfurva (Sondrio) dove vive, Luciano Bertolina ha coltivato fin da bambino la passione per la montagna: a sei anni sale le cime del gruppo Ortles Vevedale e a 14 anni le vie più importanti della zona dello Stelvio. Successivamente un grave incidente, che comporta l’amputazione della mano destra, ferma la frequentazione della montagna per qualche mese. Ma la passione lo riporta ben presto a scalare nuovamente le montagne dell’Ortles Cevedale e della Valtellina. Nel 1978 insieme con un gruppo di amici della valle fonda la Sezione CAI della Valfurva e fino al 1981 ne è consigliere. Successivamente viene eletto presidente.

Diverse sono le iniziative proposte da Bertolina ai ragazzi della valle: dai corsi di arrampicata per gli alunni delle scuole elementari e medie, alle escursioni fino alle ascensioni impegnative sulle Alpi, Appennini e molte spedizioni europee ed extraeuropee coinvolgendo sia i giovani sia gli adulti.

Dal 1978 organizza anche manifestazioni turistico sportive fra le più importanti della Valfurva: i rally sci alpinistici internazionali, i raduni sci alpinistici internazionali e la “Stravalfurva” che dal 1978 coinvolge migliaia di persone con gare e manifestazioni. Dal 1982 è fortemente impegnato per organizzare, in vari periodi dell’anno, uscite con i ragazzi disabili del centro socio educativo di Valfurva e Livigno nonché a realizzare corsi di roccia ed escursioni nel Parco nazionale dello Stelvio per i ragazzi provenienti dalla Bielorussia. Dal 1981, grazie al suo impegno, si organizzano regolarmente gite escursionistiche e alpinistiche con i ragazzi delle scuole elementari e medie della valle.

Da alcuni anni in collaborazione con l’associazione “Lo sport è vita” che fa capo all’alpinista e guida alpina Marco Confortola (altro finalista del Premio Meroni) organizza gite alpinistiche alle cime del gruppo Ortles Cevedale e porta mediamente in montagna, ogni anno, più di cento ragazzi.. Dal 2008 è presidente del coordinamento delle sezioni valtellinesi del Club Alpino Italiano. Va infine notato che grande è il suo contributo per la promozione della Valfurva e della Valtellina.

Tutti ovviamente conoscono Bertolina come un uomo dal cuore grande, sempre disposto ad adoperarsi per gli altri. Tra le sue benemerenze, si legge nella motivazione della sua candidatura al Premio Meroni, non va dimenticata la creazione di una palestra di arrampicata per avvicinare ancor di più i piccoli alla montagna. Attraverso il CAI si è fatto promotore di giornate dedicate alla pulizia e alla cura dei boschi. Negli ultimi anni si è impegnato in prima persona in numerose iniziative di alto valore sociale.

Biancossi con quadro
Graziano Biancossi con un quadro che gli sta a cuore: rappresenta la Capanna Leoni al Cistella. ph. R. Serafin

GRAZIANO BIANCOSSI (2013). Il “druido del Cistella”, strenuo difensore delle bellezze dell’Ossola. Con assiduità e lungimiranza, da anni Graziano Biancossi si dedica alla valorizzazione turistica e sportiva (in forme ecocompatibili) di un inestimabile patrimonio della “sua” Valle Antigorio: l’immensa foresta che si stende ai piedi del Cistella, il gigante che domina l’Ossola. Nativo di Viceno, frazione di Crodo, dove svolge un’attività artigianale, Biancossi ha recentemente contribuito ad aprire quest’area al bouldering. Come risulta dalla guida “Foppiano Boulder 2013” compilata da Dario Rota con Luca Cendou e Gabriele Palazzo (www.foppianobouder.it), sono 167 i sassi mappati su cui scalare, gareggiare, sbizzarrire la fantasia nella penombra della foresta nei dintorni di Foppiano, incantevole alpeggio trasformato in una spartana località di villeggiatura. Con l’indispensabile aiuto di Graziano soprannominato “il Druido”, guida spirituale e pratica dei sassisti, i lavori di pulizia per liberare questi sassi dai muschi e dall’intrico dei rami, hanno richiesto non poche fatiche. L’attività di Biancossi a beneficio dei giovani appassionati di montagna in realtà da anni non conosce soste. Tre anni fa il suo sguardo si posò su un gigantesco monolito di gneiss seminascosto nell’intrico dei rami e con la guida alpina Paolo Stoppini decise di farne un centro di arrampicata per i ragazzi della valle. Ripulite e attrezzate le pareti, sistemate alcune panchine per gli accompagnatori, ora il “Sass Giana” (così è stato battezzato in memoria di una ragazza scomparsa) ospita corsi assai frequentati di arrampicata ed educazione motoria. Come presidente degli Amici del Cistella, Biancossi si è prodigato nel 1983 nel recupero del bivacco costruito nel 1902 in vetta alla montagna “di casa” dal cavalier Giovanni Leoni, poeta e filantropo ossolano conosciuto con il nomignolo di Torototela, partecipando attivamente nel 2002 alle celebrazioni per il centenario culminate in una fantasmagorica salita in costumi d’epoca e nella pubblicazione di un documentatissimo volume edito da Grossi per la Comunità montana Antigorio – Divedro – Formazza e il Comitato Pro Cistella. Le benemerenze acquisite da Biancossi in tanti anni di attività volontaria riguardano soprattutto le attività sportive della gioventù ossolana. Nel ’62 ha fondato lo Sci Club Viceno poi confluito nel ’78 nello Sci Club Devero, Baceno, Premia; dal ’75 è giudice di gara FISI per le discipline dello sci alpino e di fondo, dal ’94 è Cavaliere della Repubblica e nel 2002 si è meritato la Stella di bronzo al merito sportivo del CONI. L’amore per le sue montagne continua a essere per lui fonte d’ispirazione. Ora Biancossi batte a palmo a palmo la foresta del Cistella alla riscoperta delle “giazzere” in cui i malgari tenevano in fresco la produzione casearia e accarezza un sogno: la nascita di una biblioteca del bosco aperta a tutti i visitatori che possa essere anche di stimolo per una più approfondita tutela di questo inestimabile patrimonio naturale.

ROLANDO CANUTI (2011). La sua vocazione: vivere e trasmettere la passione dell’andare per monti. Oggi settentatreenne, Rolando Canuti ha militato per molti anni nell’ambito degli scout AGESCI, un’esperienza che è all’origine della sua attenzione alla dimensione sociale e della grande passione dell’andar per monti alla scoperta della natura: due filoni indiscutibilmente centrali nella sua vita. Nel mondo del lavoro è un attivo sindacalista CISL con la qualifica di operatore sindacale distaccato ottenuta alla fine degli anni ’70. Nel 1964 è tra i fondatori della Sottosezione CAI di Cinisello Balsamo, dapprima aggregata alla Sezione di Monza e poi definitivamente costituitasi in sezione nel 1977. In ambito alpinistico si forma alla Scuola dei Ragni di Lecco verso la fine degli anni ’60, frequentando un corso di roccia diretto dal grande Riccardo Cassin assieme a un gruppo di alpinisti concittadini, tra cui Angelo Rocca e i fratelli Aristide e Gualtiero Alberti.

E’ con questi amici che nel 1970 fonda il Gruppo dei “Rampegheur” di Cinisello, a cui si aggiungono scalatori di notevole valore come Lele Di Noia, Benvenuto Laritti e Giuliano Occhiali e che annovera, tra i soci onorari, lo stesso Cassin. Negli anni ’70 comincia la sua attività di istruttore presso la Scuola Nazionale d’Alta Montagna Agostino Parravicini del CAI Milano, di cui diventerà direttore nel 1982, dopo avere conseguito il titolo, nel 1980, di Istruttore nazionale d’alpinismo. Nel frattempo, nel 1977, i Rampegheur fondano la Scuola di Alpinismo del CAI di Cinisello, inizialmente intitolata ad un caro amico caduto in Grignetta, Bruno Paterno. Dopo l’avvio, avvenuto sotto la direzione di Angelo Rocca, nel 1980 diviene direttore di questa scuola e rimane in carica fino al 2003. Da allora è sempre più impegnato in ambito CAI, assumendo, dagli inizi degli anni ’90, per ben due volte, la presidenza della Commissione Regionale Lombarda Scuole di Alpinismo e poi per due mandati consecutivi la presidenza della Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo, Scialpinismo e Arrampicata Libera. Contemporaneamente diviene anche istruttore della Scuola Regionale Lombarda di Alpinismo.

In ambito alpinistico Canuti vanta un curriculum di tutto rispetto. Ha al suo attivo anche la partecipazione a diverse spedizioni extra-europee, tra cui nel 1977 la vittoriosa spedizione al Bethartoli Himal (6.352 m), nella regione del Gahrwal indiano, e successivamente la partecipazione alla storica spedizione della Scuola Parravicini che realizzerà la prima ascensione della sud del Monte Api (7132 m) in Nepal. E’ stato autore di nuovi itinerari alpinistici sullo Scudo del Qualido e sullo sperone sud del Pesgunfi.

La figura di Canuti è indubbiamente rappresentativa al massimo grado di un certo modo di vivere e trasmettere la passione dell’andar per monti. Quotidianamente per mezzo secolo, il suo impegno lo ha condotto a fondare una sezione CAI (quella di Cinisello Balsamo) e una scuola di alpinismo. A ciò si aggiunge una quindicina d’anni di continuativo lavoro e di conduzione nelle Commissioni scuole dapprima regionale e poi nazionale: quanto basta per qualificarlo come una figura di altissimo profilo nell’ambito della divulgazione dei valori che hanno accompagnato l’alpinismo dagli anni ’70 in poi. Umiltà e tenacia connotano il suo operare. Chi conosce Rolando non può che esserne convinto.

Marcello, così lo ricordano

Marcello MeroniFisico e alpinista milanese scomparso il 14 dicembre 2007 per una malattia che non gli ha dato scampo, Marcello Meroni ha lasciato di se una traccia profonda e duratura nella grande famiglia degli appassionati di montagna. Il suo carisma a sei anni dalla morte è intatto, linfa vitale per il premio che i familiari e i tanti amici della Società Escursionisti Milanesi gli hanno voluto dedicare. Lo si era capito nel 2008, quando nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano più di trecento persone si sono date appuntamento per rendergli omaggio un anno dopo la sua morte nel corso di un simposio sul connubio tra scienza e montagna significativamente intitolato “Per aspera et astra – I monti e il cielo, percorsi per conoscere”: un’ideale continuazione, si disse, di quel viaggio fantastico nel sistema solare con gli occhi dell’alpinista che Marcello amava immaginare.

La visione del cielo generava in lui un senso di partecipazione all’infinito e di curiosità di conoscenza; stimoli e sensazioni che anche le bellezze naturali della Terra, e in particolare le montagne, sono in grado di provocare. C’è spesso un percorso comune tra chi si dedica alla scienza e chi frequenta la montagna per professione o passione. Ciò è vero per tanti fisici/astrofisici che hanno segnato tappe fondamentali della conoscenza in fisica e astronomia: basti citare Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Giuseppe Occhialini, Bruno Rossi, fisici ma anche capaci alpinisti.

Fisico e divulgatore scientifico, Marcello Meroni è stato alpinista, coordinatore e progettista della Divisione Telecomunicazioni dell’Università degli Studi di Milano, Istruttore Nazionale di Alpinismo, Istruttore della Scuola di Alpinismo e Scialpinismo “Silvio Saglio” della sezione CAI SEM di Milano e della Scuola Regionale Lombarda di Alpinismo, abile ghiacciatore e ottimo cascatista.

Chi gli è stato vicino, come Giorgio Bagnato (compagno di cordata alla SEM e collega di lavoro), non manca di sottolineare in Marcello una grande preparazione in tutti gli aspetti tecnici nei campi alpinistico e scientifico, un’ampia cultura di base a fondamento della sua capacità di cogliere le problematicità – che ad altri potevano sfuggire – di determinate situazioni, per esempio nell’ambito dell’organizzazione dei corsi della scuola in cui insegnava alpinismo.

Tale granitica formazione tecnico/scientifica non è mai stata ostentata da Marcello: la sua innata modestia gli permetteva di condividere questo grande bagaglio culturale con altri senza mai esibirlo allo scopo di mettersi in luce. Anzi, l’attività di volontariato nel CAI consentiva a Marcello (pur assieme a tanti altri) di esprimere al massimo il proprio grande amore per le persone, per la vita in genere e ovviamente per la montagna. Questa scelta di fondo è stata fortemente voluta: svolgendo questa attività nei panni di “dilettante” poteva realizzare nel modo migliore i propri ideali, cioè quelli di lavorare essenzialmente per la gente.

Una totale onestà unita al coraggio e a una forza d’animo straordinaria, di cui ha dato prova durante la sua malattia e nello sport che praticava: questo il tratto dominante del suo carattere espresso in una delle tante lettere a Marcello che illuminano il sito della SEM. “Da sempre Marcello ha vissuto in armonia con se stesso e con chi gli stava attorno, col mondo intero”, ricorda con tenerezza il padre Franco, strenuo animatore del premio. “Era consapevole di ciò che faceva e tutti i suoi amici lo testimoniano. Era per me figlio e amico, così per la mamma. La nostra anima è legata alla sua. Viveva in pace con se stesso sempre. Era una persona con cui è bello stare. Ha illuminato la nostra vita. Io e la mamma lo abbiamo cresciuto con amore, era così facile volergli bene e so che anche Marcello è stato bene e che la sua vita è stata bella. Spero di essere stato un buon padre, degno di un figlio così. Nonna e mamma lo hanno cresciuto con generosità, grazia e amore infinito”.

A dipanare la matassa multicolore dei ricordi si impegnano i suoi allievi. “Abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo, non solo come generoso e partecipe istruttore della Scuola di Alpinismo e Scialpinismo ‘Silvio Saglio’ ma anche, e soprattutto, come compagno di cordata. Tuttavia resta difficile spiegare in poche parole chi era Marcello. Difficile, in special modo, per chi – come noi – gli è stato accanto per tanto tempo su sentieri, pareti di roccia, creste affilate, cascate di ghiaccio, pendii di neve e allegri tavoli di trattorie alpine. Per chi, insieme con lui, si è svegliato alle 3 di notte in bui rifugi tintinnanti di moschettoni o in angusti bivacchi scossi dal vento. Potremmo raccontarvi del suo curriculum alpinistico davvero invidiabile. Oppure delle sue qualifiche e dei suoi impegni… Istruttore Nazionale di Alpinismo, direttore a più riprese sia del Corso di cascate, sia del Corso di alpinismo della nostra Scuola, Istruttore della Scuola Regionale Lombarda, sottile e preciso redattore di dispense per alpinisti. Potremmo elencare le vie percorse o raccontarvi le sue capacità di sublime ghiacciatore, contare la quantità di lezioni tenute ad allievi e istruttori di tutta la Lombardia o farvi leggere i suoi scritti su ghiacciai e cascate.

“Invece vi diremo solo che Marcello aveva il fascino, arcano e misterioso, che appartiene alle persone speciali. Quelle con cui stai bene e ti senti sereno, ma non sai spiegarti il perché.

Quelle con cui puoi parlare di stelle (il suo pane), di musica o cinema, di fisica o letteratura, di surf o vela (eh sì, la vela!), di informatica. Il suo vivere la montagna era indenne da retorica, protagonismo, ansia di prestazione, sete di conquista. Il suo vivere la montagna era solo ricerca di libertà, bellezza e sensazioni altrimenti introvabili.

“Marcello era sempre un passo avanti, sia che dovesse condurre la cordata, dirigere un gruppo di allievi o analizzare una situazione complessa. Eppure, appena fatto il passo, si fermava ad aspettarti.

Adesso il passo l’ha fatto lungo. Così, nel mentre fatichiamo e arranchiamo in questa nostra vita che continua, ci piace l’idea di Marcello che ci aspetta e noi che lo ricordiamo attraverso l’emozione di un simbolico riconoscimento. Di premi ce ne sono tanti. Ma quello intitolato a Marcello Meroni è, per noi, unico”.

A sei anni dalla scomparsa di Marcello, le lettere che amici ed estimatori gli rivolgono sono più di duecento. “E il dialogo con te continua, senza perdere un colpo… certo che sei stato veramente speciale!”, scrive un’amica che non si firma. E subito dopo un’altra lettera è firmata da Biagio:

“Ciao Marcello, peccato tu sia lontano, chissà dove. Siamo in tanti a pensarti ed è un piccolo miracolo. Anzi no, è un grandissimo miracolo che testimonia della tua giustezza (nel senso che gli ebrei danno a questa parola). Qualche mese fa, in una bella serata di chiacchiere e discussioni, ho visto tuo padre e tua madre: belli, dignitosi, dolenti, forti. C’eri anche tu, anche se non riuscivamo a vederti. In questi mesi ho avuto qualche problema di salute, piuttosto serio. Ogni volta che cedevo alla tentazione del lamento e dell’autoflagellazione mi venivi in mente tu e subito recuperavo le forze e le energie. Grazie per esserci stato. Ti abbraccio forte”.

Denise si rivolge a Marcello chiamandolo con piglio lombardo “ciao diretur” e gli racconta di essere arrivata fino al campo base dell’aiguille Poincenot nelle Ande, e poi ancora più su fino alla Laguna Sucia. “Guardavo il Fitz Roy, dal basso, e ho pensato che tu saresti salito lassù in cima, poi ho guardato meglio e mi é sembrato di vederti in vetta…”.

Un’altra allieva, Stefania, rivela di avere sempre avuto un certo timore reverenziale nei suoi confronti e racconta un episodio indimenticabile. “Quando all’uscita di Briançon mi hanno assegnato a te con i famosi pizzini, devo confessare che ero molto timorosa perché non mi sentivo all’altezza. E’ stata una via bellissima! C’era un tiro con un camino che ogni volta mi chiedo come abbia fatto farlo, ma ricordo solo che ero molto tranquilla e che mi sono divertita un sacco con te. Quando sono arrivata alla sosta ero euforica e tu sorridevi e mi hai scattato delle bellissime foto, e mi hai detto: ‘Visto, basta usare bene i piedi ed è divertente’. Ricordo anche quando in palestra alla Parete Rossa mi hai fatto camminare per terra a gattoni mettendo le mani a triangolo con le gambe per interiorizzare il movimento da fare in parete, ha funzionato! Ma che tu fossi un insegnante dotato lo si sentiva anche alle lezioni teoriche, quelle sul soccorso alpino e sui ghiacciai. Continuiamo a sentire chiara la tua voce quando spieghi che ‘nei crepacci fa un cazzo di freddo’ e che ‘non bisogna girare per i ghiacciai in magliettina anche se si crepa di caldo’”.

Sconvolta all’annuncio della sua scomparsa, così gli si rivolge, con tenerezza, Laura Posani: “Caro Marcello, caro dolce ragazzo, uomo pacato e incline all’ascolto…ascolta tutte le nostre voci interiori che con te hanno parlato e continueranno a parlare, tutti i pensieri che, sono certa, ognuno di noi ti rivolgerà, tutti i grazie di tutti quelli a cui hai lasciato indelebilmente qualcosa, di tutte le persone che ti amano, che ti vogliono bene”.

E non può mancare il ricordo Nicla, compagna nella vita e nelle scalate. “Il ricordo non è legato a quel giorno, al dolore provato, semmai a un sentimento di nostalgia”, scrive Nicla. “Ciò che hai lasciato è il rispetto per la vita e per gli altri, il dare senso a ogni attimo che viviamo. E’ incredibile quanto amore, ammirazione, tenacia, passione e vitalità riesci a muovere semplicemente pensando a te. Non è andato perso nulla di ciò che eri: il tempo non potrà mai cancellare l’Uomo che sei stato. Che fortuna avere incrociato la tua strada…” . In un’altra lettera al suo Marcello, la tostissima Nicla gli segnala di avere “performato” in falesia. “Saresti stato orgoglioso di me. Mentre scalavo mi è capitato più di volta di essere inebriata dal profumo di timo, quello stesso odore che ritrovo a Kalymnos e che mi ricorda tanto te e le nostre vacanze”.

Ser

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