Kima story, vent’anni mozzafiato in Valmasino

49,5 chilometri, dislivello in salita di 3.800 metri e altrettanti in discesa valicando sette passi tutti sopra i 2500 metri; quota massima passo Cameraccio 2.950 metri (traguardo volante). Così si presenta il Trofeo Kima di corsa in montagna in programma il 30 e 31 agosto in Val Masino (Sondrio). Per il ventennale della Associazione Kima assicurata la presenza anche dei “corridori del cielo” che ne hanno fatto la storia. Il Kima, però, non è solo top runner. E’ anche solidarietà, valorizzazione del territorio, cultura della montagna, promozione turistica ed evento a sfondo sociale. Oltre alle collaudate manifestazioni collaterali quali Minikima (kermesse non federale da 6 e 16 chilometri nell’incantevole scenario della Val di Mello) è confermata la premiazione della guida emerita e la proposta di una nuova partnership con la Onlus Cancro Primo Aiuto. Insieme con diverse altri “top event” del mandamento, il Trofeo Kima, infatti, sposa e sostiene il progetto 3S Bassa Valtellina (Sport, Sapori & Solidarietà a sostegno di Cancro Primo Aiuto). Fanno da cornice eventi di promozione dell’ambiente, dello sport, turismo e sicurezza in montagna con il COBAT, partner dell’evento, che promuove la raccolta e riciclo di batterie esauste. Nell’ambito del progetto Mountain Fitness® e Sentieri Sicuri, si completa infine il posizionamento delle bacheche informative ai rifugi che permettono a tutti di godere le escursioni in Val Masino con un occhio all’orologio e alle calorie consumate, per completare tutte le tappe in sicurezza. La grande avventura dell’Associazione Kima che ha dato vita all’iniziativa viene qui raccontata da Ilde Marchetti, intrepida organizzatrice fin dall’origine della corsa.

“Mi dicevano che era pura follia…”
Quando mi sono tuffata in questa avventura molti si sono stupiti che fossi così giovane e…così donna. Mi dicevano che era pura follia, forse era meglio che pensassi a trovami un marito. Ma senza qualche lampo di follia che sapore può avere mai la vita? Che cosa dire d’altra parte di una giovane donna che si mette in testa di diventare capocordata in un mondo dominato, almeno in apparenza, dal machismo?
Perché si sa, in quella specie di pianeta esclusivo che riguarda la corsa in montagna, i muscoli sono tesi allo spasimo e l’adrenalina scorre a fiumi. Intorno a me e sopra di me, lassù tra quei pascoli solcati da lastre di granito convulsamente accatastate, tra quelle nuvole pronte a ghermirti senza preavviso, tanti erano e sempre più sono i ragazzi impegnati in imprese da titani, le cui gesta si sublimano nel sacrificio e nella sofferenza. La cosa m’intrigava e di tirarmi indietro come qualcuno avrebbe voluto non avevo alcuna intenzione.
Aggiungo che timida non lo sono mai stata. Eppure avrei potuto provare qualche imbarazzo per questo ruolo di capocordata che mi è stato assegnato e che io stessa ho fortemente voluto. Non è stato così. Ho capito subito una cosa molto semplice: una donna era quello che ci voleva per dare impulso a un’iniziativa del genere, per placare ove occorresse gli animi e vincere con il dovuto savoir faire dubbi e ritrosie.
Appartengo alla generazione dei ragazzi nati negli anni sessanta che anche in valle hanno cominciato a cambiare le regole del comportamento. Per questo mi sono sempre considerata una ragazza emancipata e di certe chiusure mentali me ne sono infischiata. So che cosa vuol dire avere gli occhi addosso, sapere che la gente ti mormora dietro. E poi ho la fortuna di avere un buon carattere. Mi sono sempre ritenuta una persona capace di sorridere davanti alle avversità, di mettere d’accordo tutti trasmettendo entusiasmo e, possibilmente, simpatia.
Non sta a me dire se ci sono riuscita, ma sottovoce e facendo gli scongiuri mi dichiaro soddisfatta. La mia amica antropologa Michela Zucca mi ha perfino inserita in un libro, “Il prezzo dei sogni”, che racconta storie di donne che hanno avuto coraggio. Che come me sono andate testardamente controcorrente per inseguire un sogno. Più di così!
Ma non scambiate questa mia impennata di orgoglio con una forma di presunzione. So bene di essere piena di difettacci. Irruente e decisionista, mi definisce qualcuno. Tuttavia, dai, guardiamoci negli occhi: qualcosa di buono sarà pur venuto fuori se oggi siamo ancora qui a parlare da quel 5 agosto 1994, quando per volontà di un gruppo di amici l’associazione Kima è nata ufficialmente. E con un nobile scopo, quello di diffondere l’amore e la passione per la montagna.
Passo a riepilogare. L’associazione si concretizza in ricordo di mio fratello Pierangelo Marchetti, guida alpina e tecnico del soccorso. Nasce perché forte è il desiderio di alcuni amici di dare vita ai sogni di Pierangelo raccogliendo le idee e i suggerimenti di un uomo dotato di una forte carica interiore e di un grande spirito di solidarietà, mosso da un amore profondo per la montagna vissuto e testimoniato in prima persona ogni giorno in famiglia, in paese nella sua Val Masino, con gli amici, sul lavoro.

Pierangelo, nato a Sondrio l’8 marzo 1963, inizia in tenera età ad arrampicare e giovanissimo entra nel soccorso alpino. Frequenta le scuole elementari in valle poi le medie ad Ardenno. Diplomatosi perito agrario a Brescia, s’iscrive alla facoltà universitaria dedicata a Scienze della produzione. Nel frattempo entra nel Soccorso alpino e diventa tecnico di elisoccorso facendo parte di una delle prime squadre specializzate in Italia. Infine la decisione che imprime una svolta alla sua vita: s’iscrive ai corsi per guida alpina rinunciando all’università e fa della sua passione per la montagna e la sua valle uno stile di vita. Si sposa e nascono due bambine.
Di carattere un po’ schivo per chi non lo conosce bene, impegnato socialmente su più fronti, con il suo carisma Pierangelo sa farsi voler bene da tutti. Senza mai risparmiarsi coinvolge scolaresche in istruttive escursioni e ai bambini trasmette il suo amore per la montagna.
La sua grande disponibilità, il suo spirito di solidarietà verso il prossimo sono rimasti proverbiali qui da noi in valle. La riprova? Non ci sono limiti quando deve portare soccorso a persone in pericolo di vita. Non lo sono certo le condizioni meteorologiche proibitive o certe situazioni precarie di salute che temporaneamente possano affliggerlo. Un’importante regola vene sempre rispettata da Pierangelo: prudenza innanzitutto. Ma non c’è prudenza che possa contrapporsi all’imponderabile. Anche nella sua ultima tragica missione di soccorritore Pierangelo si è comportato da impeccabile e scrupoloso professionista. Non poteva certo prevedere che quel cavo del verricello a cui ha affidato a soli 31 anni la sua vita e insieme quella della persona che stava soccorrendo si spezzasse di colpo facendolo precipitare. Credo che mettere in gioco la propria vita per salvarne un’altra sia il gesto più nobile che un uomo possa fare. E di questo Pierangelo era capace.
Questo è stato Pierangelo, un tenero fratello e un grande uomo. E tale sempre sarà nella memoria delle persone che lo hanno conosciuto e amato, della sua famiglia, delle due splendide ragazze e di tutti coloro che attraverso l’associazione a lui dedicata possono ritrovare i sani principi che ci ha trasmesso.
Tra i suoi sogni che l’associazione ha deciso di realizzare, al primo posto risultano appunto la Grande corsa sul Sentiero Roma e la Festa delle guide che ogni anno richiama migliaia di appassionati in Val Masino. Gliene avevo sentito parlare spesso e sono sicura che senza quel tragico epilogo della sua giovane vita oggi sarebbe lui a tenere le briglie di questa complessa organizzazione, magari con il mio supporto.
Logico che in nome del suo nobile sacrificio l’Associazione Kima abbia anche per scopo quello di sensibilizzare gli enti che si occupano di soccorso in montagna per migliorare le condizioni di sicurezza in cui operano i tecnici. Bisogna fare di tutto perché mai più un tecnico del soccorso debba morire per un incidente come quello che è costato la vita a Pierangelo, dovuto sicuramente a imperdonabile incuria. Leggo ancora nello statuto che la nostra associazione si assume il compito di collaborare con altre organizzazioni per la realizzazione dei suoi scopi statutari con particolare riferimento alle problematiche della solidarietà. E inoltre organizza convegni, serate, tavole rotonde su varie tematiche.
Com’è cominciata? La prima manifestazione Kima risale al 1944. Agosto, durante una fresca serata all’aperto vengono proiettate a Filorera diapositive di Pierangelo. Il cielo è stellato, c’è una meravigliosa luna piena e migliaia di persone che si affollano. Nel novembre di quell’anno un gruppo di amici di Pierangelo decide di portare a termine la spedizione da lui programmata nella Patagonia cilena.
Nella traversata dello Hielo Continental si fanno onore Benvenuto Moré, Moreno Fiorelli, Andreas, Nicoletta Fiumara. Su quei ghiacci aprono anche una nuova via dedicandola a Pierangelo. E siamo al 1995. Il giorno dell’Epifania con almeno un metro di neve organizziamo una dimostrazione di ricerca valanghe con il Soccorso alpino e l’unita cinofila della Guardia di finanza; segue una tavola rotonda sui rischi valanghe condotta da Eraldo Meraldi. Una cascata di ghiaccio in località Bregolana è poi teatro di una riuscita manifestazione presentata dall’amico Guido Combi dopo che nella valle sono risuonate le note del Coro CAI di Sondrio.
La scenografia è degna di un kolossal hollywoodiano. Gli amici di Pierangelo si calano dall’alto con le fiaccole e compongono la scritta Kima. Il taglio del nastro è affidato al capo del Soccorso alpino Armando Poli e a mia nipote Giulia. Il freddo non da tregua: ci sono meno 18 gradi contrastati da un grande falò e da generose dosi di vin brulé. Molti i nomi noti dell’alpinismo fra le duemila persone. La manifestazione viene ripetuta nel 1996 sempre con Combi in veste di speaker poi negli anni successivi siamo costretti a rinunciare per il clima troppo mite.
Logico che il Soccorso alpino da noi sia di casa. A ogni edizione del Kima, la domenica mattina è sempre dedicata a una dimostrazione dei tecnici del Soccorso alpino valtellinese al Sasso Remenno commentata da Giuseppe Spagnolo e poi da Gianfranco Comi, responsabili della 7° Delegazione. Nel ’96 altro piccolo grande evento: viene terminata la “palestra Kima” da Gianluca Maspes. Si trova dietro il rifugio Allievi Bonaccossa ed è stata iniziata da Pierangelo. L’amico Bruno Vitale, premiato come volontario dell’anno dai Vigili del Fuoco in congedo di Roma, apre una nuova via sul Gran Sasso: e ancora una volta la dedica è per Pierangelo. A Pinzolo (Trento) il Comitato per la targa d’artento della solidarietà alpina decide di conferirgli una medaglia dì’oro alla memoria. Nel ‘98 l’associazione Kima con la Comunità montana di Morbegno gli dedica infine la palestra di arrampicata al Centro Polifunzionale della Montagna.
Con partenza e arrivo a Filorera, la corsa è una fantastica cavalcata di 48 km e 203 metri tra pascoli, morene, cenge esposte, nevai, con catene e corde fisse, valicando sette passi tutti al di sopra dei 2500 metri, sfiorando i tremila metri al Cameraccio. Il tutto con un dislivello di 3650 metri, passando dai quattro rifugi posti lungo il sentiero creato nel 1928 dal Club Alpino Italiano e coprendo in tal modo tutta la testata della Val Masino
Una sfida da supermen della corsa è stata definita questa maratona tra vette legate alla storia e all’evoluzione dell’alpinismo mondiale. E tutto questo è stato possibile grazie alla disponibilità dei volontari che sono l’anima e il motore del Kima, dando vita a un’organizzazione capillare e complessa che vede impegnati guide alpine, tecnici del Soccorso alpino del CAI, il Soccorso alpino della Guardia di Finanza (SAGF), la Protezione civile, medici, persone comuni che con altruismo si mettono totalmente a disposizione.
Ricordi? Tantissimi, è una vita intera quella che mi passa davanti negli occhi quando lascio scorrere le immagini dell’ideale moviola del Kima. 1994, prima edizione. L’organizzazione si mette in moto con l’indispensabile supporto tecnico di Giorgio Bertarelli, guida alpina, tecnico del Soccorso a lungo alla guida della Stazione CNSAS di Morbegno. Ci riunivamo a casa sua la sera a poche decine di metri dalle rive dell’Adda e subito nella sua bella casa con giardino si diffondeva l’aroma degli stuzzicanti pizzocheri preparati da Mariuccia, deliziosa moglie di Giorgio.
C’erano, sorridenti e affabili, Adriano Greco reduce da una capillare ispezione al Sentiero Roma e Fabio Meraldi che in coppia con Adriano all’epoca spopolava nei rally sciistici ad alta quota. Quando correvano con o senza gli sci erano due sacramenti di un altro pianeta. Ma quando rimettevano i piedi per terra quanto buonsenso, quanta esperienza sapevano dispensare!

A Filorera, il mio paese di pietra nella verde Valmasino, nessuno credeva sulle prime che un bipede umano potesse percorrere il Sentiero Roma in una manciata di ore con le sue sole gambe, senza chiedere un passaggio a un elicottero o essere dotato di particolari sistemi di propulsione. La gente al bar non parlava d’altro, incuriosita e divertita. Ma un aspetto nell’atmosfera convulsa della vigilia, alla prima edizione della corsa, mi preoccupava. C’era, soprattutto tra la gente di città, chi vedeva la gara come un affronto alla sacralità della montagna che andava obbligatoriamente frequentata con passo alpino. Un’ottica limitata, ma confesso che non mi sono mai permessa di confutarli: ho preferito lasciare che i vecchi soloni continuassero (e ancora in parte continuino) a bofonchiare.
Si facevano perfino scommesse pro e contro la grande corsa. Ce l’avremmo fatta o no a mettere in piedi tutto quel marchingegno? Debbo dire che in genere certa gente faceva i conti senza l’oste, cioè i diretti interessati: ragazzi che alla corsa in altura avevano dedicato tutto il loro tempo libero preparandosi meticolosamente sotto il controllo di medici specializzati. La cosa più bella è che sono state proprio le due persone che più ci hanno aiutato nell’organizzazione ad arrivare al traguardo rispettivamente primo e secondo in quell’ormai lontana edizione d’esordio. Si trattò, inutile aggiungerlo, di Meraldi e Greco, piombati a Filorera freschi ed ebbri di felicità come se fossero andati tranquillamente a passeggio ai giardini pubblici. E invece avevano alle spalle 47 chilometri corsi a manetta.
L’emozione quel giorno è stata grande, enorme. Come dimenticarlo? Entrambi, Fabio e Adriano, avevano avuto nella vita professionale legami con mio fratello Pierangelo. Fabio in particolare aveva fatto il corso per il brevetto di guida alpina con lui. Quando ha tagliato il traguardo finendo praticamente tra le mie braccia avevamo entrambi le lacrime agli occhi. Non ci sembrava vero che tutto fosse andato così bene, così liscio. Fabio mi ha raccontato che mentre le sue gambe frullavano come turbine lungo il sentiero Roma gli scorreva negli occhi una specie di film e in ogni sequenza gli compariva Pierangelo che sembrava parlargli, incitarlo. Fantasie dovute all’intossicazione da acido lattico? Mi rifiuto di crederlo avendo saputo apprezzare il grande cuore di Meraldi e nella convinzione che se uno è intossicato da qualcosa mai riuscirà a condurre a termine una gara così massacrante.
Sotto tutti i punti di vista è stata una grande occasione per la Valmasino quel primo Trofeo Kima e sono stati in tanti dalle nostre parti ad accorgersene. Anche quelli che sulle prime avevano fatto finta di niente. C’era un’incredibile animazione quella domenica sotto lo sfavillare del sole, mentre Sergio Salini dal palco comunicava tempi e passaggi in quota e gli alpini spillavano fino all’ultima goccia di birra. A godersi la vallata che lui considerava legittimamente anche un po’ sua dopo averne conquistato nel ‘37 la preda più bella, il pizzo Badile, c’era anche il grande, il sommo lecchese Riccardo Cassin. In quella circostanza il caro Riccardo non tornò tra noi a mani vuote. E infatti aveva con se un dono che mi affidò con un lieve inchino pieno di galanteria spalancandosi in un sorriso smisurato. Ho aperto piena di curiosità la scatolina d’argento. Dentro c’era come una reliquia uno dei primi moschettoni forgiati da Cassin nella sua officina per le prime scalate in Dolomiti che hanno preceduto la “conquista” del Badile.
Una testimonianza dell’attenzione che fin dall’inizio ci è stata riservata è costituita dalla raccolta di stendardi e dai riconoscimenti dei gruppi legati alla montagna. Una raccolta che cresce a vista d’occhio di giorno in giorno. Quanti ricordi sono racchiusi in quello scrigno che un giorno, chissà, potrebbe trasformarsi in un piccolo museo: la sagoma del Campanil Basso donata dal “re del Brenta” Bruno Detassis, la medaglia del Consiglio regionale della Lombardia offerta dall’allora presidente Giancarlo Morandi e, sempre per il suo gentile interessamento, la medaglia del Cobat, il consorzio per il recupero delle batterie usate. E poi il premio dedicato a Renato Casarotto ricevuto nel 1996 dalle mani del caro amico Lorenzino Cosson capo del Soccorso alpino valdostano. Sempre quell’anno gli atleti Cheto Biavaschi e Morena Paieri hanno ricevuto per i loro successi al “Kima” una medaglia dal comune di Dubino il cui sindaco Gildo De Gianni ha premiato la nostra corsa come manifestazione dell’anno. Analogo riconoscimento ci è stato dato dal Rotary di Lecco e dall’Inner Wheel Club Colico.
Di quegli anni è un evento significativo e commovente: immobilizzato dalla tetraparesi Ambrogio Fogar non è riuscito a realizzare una complessa trasferta in Valmasino. Ci avrebbe tenuto tanto, povero Ambrogio…Così non potendo presenziare al nostro convegno dedicato ai nuovi confini dell’avventura ci mandò un intervento registrato su nastro con gli auguri per la migliore riuscita dell’iniziativa.
Nel 2000 e negli anni successivi l’attività si è fatta intensa, quasi frenetica. Come se già non lo fosse stata abbastanza… A Pinzolo (Trento) una targa dell’associazione è stata consegnata al Dalai Lama e c’ero io a consegnarla con un caldo pazzesco nella piazza del paese dove l’illustre ospite era appena sceso da un elicottero. A Bormio una medaglia è stata consegnata da un assessore regionale al Kima e agli atleti Fabio Meraldi e, ancora, all’allora invincibile Morena Paieri che già era stata insignita a Sondrio dal Panathlon club dal presidente Alberto Rovagnati.
Nell’Anno internazionale delle montagne (2002) due sono stati gli appuntamenti significativi: l’11 dicembre a Roma l’associazione Kima è stata ricevuta al Quirinale dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con una delegazione molto ristretta. Poi in pompa magna eccoci tutti invitati a pranzo nella sede della FAO dove era in corso un convegno internazionale. Un anno dopo, il 23 maggio 2003, l’associazione ha come ospite a Filorera nella cena dei volontari aperta al pubblico il grande sciatore Alberto Tomba che partecipa a titolo di amicizia e solidarietà alla raccolta dei fondi per la costruzione del bivacco Kima firmando le nostre magliette che ovviamente sono andate a ruba.
Benché la salute mi abbia più volte tradito, non si contano le serate a cui ho partecipato per far conoscere la Valmasino e il Kima che dal 2002 è prova mondiale e di campionato italiano (ora viene classificata nel calendario FSA come evento speciale). E come non ricordare in questa mia cavalcata a ritroso l’amico Marino Giacometti, pioniere e alfiere di questa disciplina e i cari ragazzi e amici del Fior di Roccia Camillo Onesti e Luigi Mauri che hanno portato al Kima la loro esperienza di organizzatori della Stramilano.
Anche il mondo dalla scienza ha cominciato ben presto a interessarsi di noi. Due pubblicazioni a livello europeo hanno riportato studi compiuti sugli atleti del Kima a cura dei medici Alberto Dolci e Sergio Roy: una in collaborazione con l’ospedale Sacco di Milano e due con l’Università di Perugia, facoltà di Scienze motorie.
Non vorrei annoiare, ma la lista degli eventi che mi corre l’obbligo di ricordare è ancora piuttosto lunga. E dire che spulciando negli atti della nostra associazione mi accorgo di averne lasciato indietro parecchi. Ogni anno in occasione della Grande corsa ci prendiamo il lusso di organizzare un convegno su temi d’attualità con la partecipazione di personaggi di spicco. Fra i temi trattati (di cui si riferisce in altra parte di questa pubblicazione) il turismo sostenibile nelle nostre vallate, i rapporti tra guide alpine e istruttori volontari, gli aspetti medici e scientifici della corsa in montagna, i problemi delle risorse idriche, la presenza della donna in montagna.
Per far contento il mio amico Roberto Serafin, alpinista all’acqua di rose e appassionato di barche a vela, abbiamo messo perfino a confronto avventure di mare e di terra sull’onda del successo ottenuto dall’imbarcazione “Luna Rossa” nelle prove di Coppa America. Se ne sono sentite delle belle quel giorno, perfino di un raid dal Cristo delle vette al Cristo degli abissi e Serafin ne ha approfittato per rendere omaggio alla figura del mitico Carlo Mauri che dopo avere affrontato i ghiacci dell’Himalaya si è imbarcato sulla barca di papiro con Thor Heyerdhal finendo eroicamente a mollo.
Kima, lo ho detto, vuol dire anche solidarietà. E’ un mondo in cui ci siamo fatti amici illustri e tra questi vorrei citare Angiolino Binelli patron della Targa d’Argento che si assegna ogni anno a Pinzolo (Trento). Tra le personalità con cui abbiamo fatto festa levando in alto i calici vanno ricordati Vera Cenini Lusardi (che ritroviamo nelle pagine di questo libro), l’eroe del K2 Achille Compagnoni al suo ottantesimo compleanno. Quassù si sono festeggiati anche i novant’anni di Riccardo Cassin e i settanta di Walter Bonatti. A Don Diego Fognini “malato di montagna” abbiamo stretto la mano per l’impegno nella lotta alla tossicodipendenza e all’alcolismo. Simone Moro è diventato subito dei nostri e non solo per il suo grande cuore che lo ha indotto a compiere audaci salvataggi nell’aria sottile degli ottomila. Una mano l’abbiamo tesa anche all’Operazione Mato Grosso che promuove in Perù una scuola di alpinismo per i figli dei campesinos. Fausto De Stefani, accademico e socio onorario del CAI, salitore di tutti gli ottomila è volentieri venuto tra noi a raccontarci dei suoi ragazzi nepalesi ai quali ha dedicato una scuola moderna nei presi di Kathmandu grazie ai fondi raccolti con strenuo impegno. E con un altro grande dell’alpinismo himalayano è stata stretta amicizia, mi riferisco al roveretano Sergio Martini che di ottomila ha fatto incetta fino a metterli tutti nel carniere.
Sembrerò presuntuosa, ma in tutti questi anni le amicizie si sono moltiplicate sotto le stelle del Kima e…della Valmasino. Atlete straordinarie e modeste come Corinne Fabre, Alexia Zuberer, Morena Pajeri, Gloriana Pellissier hanno manifestato un grande attaccamento alla nostra corsa, quasi stregate dall’atmosfera che vi respirava. Ricordo che Alexia arrivava in valle il giovedì prima della gara e non stava con le mani in mano. Ci aiutava infatti a preparare i sacchi con tutto il materiale per gli atleti. Sono cose belle da ricordare, ve lo assicuro.
Tutto avveniva e per fortuna ancora viene in un clima di solidarietà e amicizia. Già l’ho detto. Come donna pur in un ambiente decisamente maschilista sono sempre stata rispettata. Mi sono dovuta confrontare con persone più grandi e autorevoli di me, ma sempre da pari a pari. Fra donne poi ce la siamo sempre intesa benissimo, con qualche eccezione su cui vorrei sorvolare.
Indimenticabile ciò che è capitato a Bruna Fanetti, moglie di Adriano Greco. Fortissima in altura, agile come una gazzella, Bruna batteva con Alexia nelle primissime posizioni. Dopo avere terminato brillantemente la gara nel 1997 si è appresa una notizia in un certo senso sconvolgente. Bruna era incinta del suo primo figlio e ha gareggiato senza saperlo. Potenza della maternità. Lo abbiamo appreso in settembre, un mese dopo, ed è logico che a quel ragazzino ora siamo tutti molto affezionati.
Ce ne sarebbero di storie da raccontare. Ricordo l’anno in cui Simone Moro era in procinto di affrontare una grande attraversata con gli sci. Per lui la gara era un modo per allenarsi in vista dell’impegnativa trasferta extraeuropea, un banco di prova. Il giorno prima però non ha fatto che piovere e in quota era addirittura nevicato. C’era poco da stare allegri. Al Miramonti la sera prima mi tormentavo al pensiero che la gara dovesse saltare dopo tutto quel lavoro di preparazione. Simone mi vide rabbuiata e mi venne vicino invitandomi a essere ottimista. Lassù, mi disse, il padreterno avrebbe certamente avuto un occhio di riguardo, magari su suggerimento di Pierangelo, e avrebbe fatto tornare il sole.
L’indomani mattina mi alzo di buonora e subito guardo fuori. Che meraviglia. Si era levato vento da nord e la giornata si preannunciava splendida. Tutto filò liscio e quando Simone raggiunse il traguardo venne subito ad abbracciarmi sul palco. “Hai visto Ilde che avevo ragione? Qualcuno lassù c’era davvero e ha sistemato le cose al meglio”, mi disse. Scherzando Simone mi accusava di averlo fatto innamorare del Kima. Quando lo incontravo sul tracciato fingeva perciò di arrabbiarsi e mi gridava dietro che era colpa mia se lui era lì a lottare anziché a esercitarsi senza problemi in una palestra.
Cerco sempre di guardare avanti. Ma se mi volto indietro rivedo una lunga teoria di amici, volti sorridenti e soddisfatti. Molti atleti affezionati al Kima hanno l’abitudine ogni anno a Natale di mandare un bigliettino di auguri. Un bel tipo, Salvatore Tarabini, aveva perfino la mania di confezionare statistiche sulla corsa distillando medie orarie e distacchi. Riempiva fogli e fogli di appunti e poi li mandava in regalo all’associazione. Nella tipologia degli atleti skyrunner ce ne sono di arcicompleti che corrono inverno ed estate, dei veri professionisti. Oggi a contarli tutti c’è da non raccapezzarsi più. Ma negli anni Novanta quando questo sport vivacchiava un po’ in sordina, se ne contavano si e no una ventina e a gareggiare erano sempre gli stessi.
In effetti nel ’95 il Kima ha cominciato a fare tendenza e un complesso meccanismo si è messo in moto. Atleti di discipline diverse hanno scoperto la bellezza della corsa in alta quota e vi si sono dedicati con metodo. Altri si sono improvvisati. Negli anni è aumentata la preparazione anche se la gara resta di nicchia nel panorama dell’atletismo. Perché all’atleta si richiede una preparazione atletica ma anche una conoscenza dell’ambiente degna di un alpinista: e proprio per queste caratteristiche, difficilmente si registrano ritiri.

L’età giusta per gareggiare? C’è una fascia abbastanza giovane di corridori, ma al di sotto di una certa età facciamo di tutto per scoraggiare la partecipazione. E comunque il ricambio è continuo…Anche se non mancano gli habitué, in genere sulla quarantina, che andrebbe considerata un’età limite per chi va alla ricerca di un’affermazione.
C’è infine la fascia tra i 55 e i 65 anni, gente con un passato di atleta e ancora fortemente motivata. Particolare importante. In tutte le edizioni salvo una in cui ha dovuto subire un intervento chirurgico si è battuto come un leone Antonio Pianola di Premana. Chi è Antonio? In confidenza, appartiene alla classe 1929 ed è una vera roccia, non so se mi spiego…Così questo Antonio ha finito per diventare un uomo simbolo del Kima, una figura destinata a entrare nella leggenda. Mi racconta che per allenarsi va a caricare gli alpeggi, attività a cui si dedicava anche da giovane. Bravo, indistruttibile, ha solo una macchia: l’aspetto fisico che non è affatto incoraggiante. Mingherlino, un po’ ingobbito, l’Antonio potrebbe benissimo fare in un film la controfigura del senatore Andreotti. Tant’è vero che alla prima edizione del Kima tutti si chiedevano: ma dove crede di andare questo derelitto? Poi si accorgevano che con un ghigno satanico, forte come un caterpiller, l’Antonio si beveva tutti i giovincelli che incontrava sul suo cammino…
Problemi di sicurezza? In tutti questi anni è tanto se si possono lamentare tre caviglie slogate. Noi siamo molto attenti a tutti i particolari mettendo in sicurezza ogni metro di percorso. Ma se tutto va per il meglio salvo una sola, dolorosa eccezione, ciò dipende soprattutto della preparazione di chi di dedica a queste gare. E poi, volete saperlo? Io ho un buon motivo per starmene tranquilla e fiduciosa come organizzatrice, nella certezza che tutto non può che andar bene. La gara rappresenta un momento di amicizia e solidarietà e tutti sono disposti in ogni momento ad aiutarsi cavallerescamente. Questo il suo segreto.
Di strada se ne è fatta tanta, e non solo a passo di corsa. Al mondo un po’ esclusivo degli skyrunner si sono avvicinati con pieno diritto di cittadinanza gli appassionati delle cosiddette “non competitive”. Così si è visto salire tra i nostri graniti lo spirito della Stramilano, tutti insieme in allegria e guai a chi molla. Ed è quello che succede al “Mini Kima”: un’escursione lungo i sentieri di fondovalle che precede, il giorno prima, la grande corsa sul Sentiero Roma.
L’abbinamento è stato possibile grazie agli amici del gruppo alpinistico milanese Fior di Roccia che ogni anno per l’appunto organizza la leggendaria Stramilano. Non è stato difficile catturarli. Il loro leader Camillo Onesti ha un debole per la Valmasino e, anzi, si commuove ogni volta che viene quassù. Il Mini Kima è aperto a tutti, anche ai disabili. Un’occasione per scambiarsi un sorriso, una stretta di mano.
Quando li vedo arrivare al traguardo quelli del Mini Kima so che per loro è una giornata speciale, ma speciale lo è anche per noi del Kima, capaci ancora di emozionarci anche ormai in questo genere di cose abbiamo acquisito un know how invidiabile, sovente messo a disposizione di manifestazioni più giovani della nostra. Di un particolare ho l’assoluta certezza: abbiamo centrato in pieno l’obiettivo di promuovere il turismo nella nostra valle in questi tempi di magra. Le strutture ricettive hanno avuto infatti un decisivo beneficio e nei giorni del Kima registrano il tutto esaurito, i rifugi sono meta di atleti e accompagnatori che si sommano all’ordinario turismo alpino. Però, gente mia, quanta fatica tutto questo ci costa!
Ilde Marchetti
Da “Sotto le stelle del Masino” (Associazione Kima, 2006)
• L’indirizzo e-mail del Trofeo Kima è: info@trofeokima.org
• Informazioni sul sito http://trofeokima.org/it/