Cassin in una mostra ai Resinelli. Così lo racconta Redaelli
Un uomo pronto alla battuta, buono, con una grande apertura mentale verso i giovani. Così il giornalista Daniele Redaelli che gli era amico, descrive il grande alpinista Riccardo Cassin (1909-2009) a cinque anni dalla scomparsa. Redaelli ha scritto a lungo e autorevolmente di Cassin – che in questi giorni viene ricordato in una mostra multimediale ai Piani Resinelli (Lecco) – non solo nelle pagine della Gazzetta dello Sport dove ha lavorato a lungo. Alla sua morte, gli ha anche dedicato un’appassionante biografia ufficiale (Cento anni in vetta, Alpine Studio). Buona lettura.
Arrivando verso Morbegno, mio padre svoltava a destra per arrancare con la nostra Topolino su per la strada stretta che portava in Val Masino. Se alla domenica andavamo a fare il picnic su qualche prato della Valtellina, piatti, bicchieri e posate chiusi in un bella scatola di cartone dell’Alemagna, il ritorno prevedeva obbligatoriamente questa deviazione. Mia madre protestava inutilmente: “Ma Nino, quante volte gliel’hai già raccontata ai ragazzi”. Ma per mio padre salire ai Bagni significava aggiungere qualche dettaglio a una storia che all’epoca era vecchia di una ventina d’anni o poco più: la prima ascensione della Nord Est del Badile.
Una storia tragica e affascinante. “Il 17 luglio del 1937, un sabato, assieme allo zio Daniele eravamo saliti alla Gianetti. Il mattino dopo c’era bel tempo, stavamo partendo per andare in cima al Porcellizzo quando arrivano al rifugio Cassin, Ratti ed Esposito. Sono di Lecco come noi e li conosciamo bene. Sono sfiniti dopo tre bivacchi in parete e una bufera incredibile. Avvertono che due compagni, due ragazzi di Como, Molteni e Valsecchi, sono morti e spiegano a Fiorelli, il rifugista, dove li hanno collocati, legati alle rocce.

“Fiorelli”, è ancora il racconto di mio padre, “invita i superstiti ad andare a dormire in cuccetta e spedisce il figlio Giulio a valle per chiamare i soccorsi. Noi restiamo lì, in attesa. Il giorno dopo diamo una mano a portare i due corpi a valle e li leghiamo attorno a due tronchi che i valligiani hanno portato su dai Bagni”. L’idea dei due cadaveri legati a quel modo, con papà che ci faceva vedere dove li avevano composti in un locale dell’albergo, colpiva la mia fantasia di bambino.
Estate 1975. Da un anno sono in redazione della Gazzetta. Mi mandano a seguire una manifestazione di sci nautico sul lago di Pusiano, i campionati europei giovanili. Non so nulla di sci nautico, ma cerco di prepararmi. Alla vigilia delle gare arriva un tale che saluta un po’ di dirigenti e poi viene da me: “Scusa, io sono Guido, faccio sci nautico, ma la mia disciplina è la velocità. Non so quasi nulla di slalom, figure e salto, però una radio di Lecco mi ha chiesto di venire a fare un servizio, dammi una mano”.
Non ho il coraggio di rispondere che ne so meno di lui. Ma in quei giorni mi ero preparato, conoscevo ormai gli atleti e sapevo quali fossero i favoriti. Aiutai Guido e, alla fine, fraternizzammo e appresi che era figlio di Cassin.
Guido mi portò ai Resinelli a conoscere il padre. Ero emozionatissimo, ma subito scoprii di che pasta fosse Cassin. Diretto, pronto alla battuta, buono, con una grande apertura mentale verso i giovani. Quando furono inventate le gare di arrampicata, che all’inizio fecero storcere il naso quanto un matrimonio gay, Riccardo era lì, ai piedi della Parete dei Militi, a far parte della giuria, per nulla scandalizzato.
Appresi con stupore che la famosa fotografia che permise a Cassin, Ginetto Esposito e Ugo Tizzoni di “risolvere” l’ultimo dei grandi problemi alpinistici delle Alpi, lo Sperone Walker sulle Grandes Jorasses, era in realtà uno schizzo fatto apposta dal giornalista Vittorio Varale che lo aveva inviato per posta dal Tour de France. E poi venne il Gasherbrum, che portò alla luce il precedente grande affronto: l’esclusione dalla spedizione Desio al K2. Seppi della morte del padre nel British Columbia nel 1913, dell’inutile ricerca della tomba dopo il successo.
Così, quando nel 1998, in occasioni delle celebrazioni della salita dei lecchesi al McKinley, scoprimmo la sepoltura di Valentino Cassin in un piccolo cimitero in mezzo alle Montagne Rocciose, essere lì accanto a Riccardo fu un’emozione straordinaria. “Eccomi qua, papà, dopo 85 anni. Ho avuto fortuna a trovare la tua tomba, fortuna e tanti amici. Ci vediamo presto”, disse, mentre deponeva un vaso di crisantemi rosa.
Ho avuto la possibilità di collaborare con la Fondazione Riccardo Cassin e di scrivere tutte queste storie in un libro. Ricordo gli ultimi giorni di Riccardo. Il 2 agosto del 2009 al ritorno da Cuba, riaccendo il cellulare all’aeroporto e trovo un messaggio di Guido: “Papà sta male, è ai Resi”. A 100 anni e 8 mesi è naturale morire, ma corro a casa, prendo la moto per essere più veloce.
Piove. Arrivo ai piani Resinelli, Cassin è a letto e mi vede dalla finestra. “Ciao Daniele, cosa fai in giro in moto?”, mi chiede. “Son venuto a trovare il Guido e la Daniela”. “Sì, in moto con un tempo così?”.
E ha sorriso con gli occhi, come faceva lui. Non ero riuscito a imbrogliarlo. E’ morto quattro giorni dopo. Porto con me quell’ultimo sorriso dei suoi occhi chiari.
Daniele Redaelli
La mostra sul grande alpinista e il libro che vinse il “Cardo d’oro”
La Fondazione Riccardo Cassin, per ricordare Riccardo con tutti gli amici e appassionati di montagna, ha ideato una mostra interamente multimediale, dal titolo “eCassin” con la quale viene presentato al pubblico l’archivio storico digitalizzato della Fondazione. La mostra è ospitata dalla sala dell’Ufficio Turistico – via Escursionisti – di Piani Resinelli (LC) per tutto il mese di agosto 2014 (orario di apertura 9-12; 14-17,30). L’allestimento è costituito da quattro monitor applicati alle pareti, un tavolo touch e una parete per le proiezioni. Ogni monitor è dedicato a un argomento raccontato da slideshow. Il tavolo touch permette al pubblico di visionare i libri di Riccardo trasformati in eBook. Sulla parete dedicata alle proiezioni girano i film/documentari realizzati dalla Fondazione e alcune delle molteplici interviste fatte al grande alpinista.
Cassin racconta Cassin invece in un libro, “Capocordata”, curato da Matteo Serafin per la collana dei Licheni e oggi riproposto online sullo store del Corriere della Sera, dove è possibile trovare anche gli altri volumi arretrati della collana Biblioteca della Montagna. Nel 2002 Cassin si aggiudicò, con questo libro, il “Cardo d’Oro” al 31° Premio ITAS del Libro di montagna. La prefazione è stata scritta da Fosco Maraini che condivise con Cassin le soddisfazioni dell’impresa al Gasherbrum IV e lo definì scherzosamente “l’uomo-rupe”.