Huascaran, quegli impossibili 1600 metri di roccia

 

La parete nord dell’Huascaran? Difficile! Ma soprattutto infida.
Quei 1600 metri di roccia quasi verticale che dal ghiacciaio portano alla cappa di neve e ghiaccio della vetta, a 6655 metri di altezza, sono stati vinti a oggi, una sola volta. L’artefice della salita, l’unica che si conosca, su questa parete del colosso della Cordillera Blanca, in Perù, fu il vicentino Renato Casarotto. La sua scalata solitaria richiese ben 17 giorni di arrampicata nell’ormai lontano giugno del 1977. Nel 1993 ci riprovarono i camuni Battistino Bonali e Gian Domenico Ducoli, ma la scalata finì in tragedia. Di quella spedizione ha raccontato lunedì 12 maggio allo Spazio Oberdan il milanese Franco Michieli che quelle montagne conosce come le proprie tasche e che ha raccontato lo sciagurato tentativo di Bonali e Ducoli in un appassionante libro, “Huascaran 1993. Verso l’alto. Verso l’altro” pubblicato dal Cai di Cedegolo di cui Bonali e Ducoli facevano parte.

Doveva essere in quell’estate del ‘93 un’impresa-vacanza, dedicata non solo alle scalate, ma anche alla visita dei luoghi e a proficui contatti con gli artefici del progetto Mato Grasso per aiutare le popolazioni andine guidati dal valtellinese padre Ugo De Censi. Il gruppo, capeggiato da Battistino, comprendeva sua moglie Alice e gli amici Giovanni Blanchetti, Giorgio Cemmi, Gian Domenico Ducoli, Felice Giacomelli, Siro Faustinoni, Aldo Moscardi, Willi Pedersoli, Virginio Ragazzoli, Giacomo Rizieri, Stefano Ronchi, Romano Scalvinoni ed Helène e Roman Zalesky.

In questa grande serata alpinistica – organizzata dalla Commissione cultura del Cai Milano in collaborazione con la Provincia, Settore Cultura e condotta da Elena Buscemi, vicepresidente della Commissione Sport e tempo libero del Comune di Milano – Michieli ha ripercorso quei giorni alternando le letture poetiche di Luciano Bertoli a video e foto attorno alla enigmatica e pressoché inviolabile parete Nord del Huascarán Norte.

La serata è stata anche una preziosa occasione per incontrare Michieli, nato a Milano nel 1962, geologo, scrittore, esploratore. Michieli è uno che la passione per la fatica l’ha dimostrata fin da bambino, nelle sue prime estati sotto le pareti classiche delle Dolomiti Bellunesi, e l’ha coltivata poi con pazienza nella dura pratica dell’atletica leggera (3000 siepi), con risultati di tutto rispetto.

Ma più che dalle linee logiche delle pareti verticali, Franco è sempre stato affascinato dalle linee ideali sulle carte geografiche. Sogni a occhi bene aperti, che l’hanno portato a mettersi alla prova in grandi traversate, rigorosamente a piedi, delle maggiori catene montuose d’Europa: dalla traversata delle Alpi da Ventimiglia a Trieste, realizzata in 81 giorni nell’estate del 1981 salendo tutte le principali cime, alla traversata della Corsica, dei Pirenei dal Mediterraneo all’Atlantico, dei Monti Tatra, per passare poi ai territori del grande Nord, in particolare in quella Penisola Scandinava che ha percorso in lungo e in largo, in tutte le stagioni e condizioni climatiche, fino a diventarne un profondo conoscitore.

Michieli ha sviluppato negli anni il suo innato senso dell’orientamento, rinunciando progressivamente a ogni strumento che la tecnologia, nel frattempo, andava producendo, fino ad arrivare alla sola lettura delle carte topografiche prima della partenza, affidandosi con umiltà all’ambiente selvaggio, alla nebbia e alla casualità, se mai esiste, dimostrando con la sua esperienza che l’uomo è ancora in grado di vivere dentro e con la Natura.

Sempre lontano dai riflettori, non si è però risparmiato nel raccontarci la sua visione dell’alpinismo e dell’avventura: apprezzato conferenziere, ottimo fotografo, scrittore attento e sensibile, ha animato il panorama italiano della letteratura di montagna con il suo contributo originale: numerosissimi articoli e rubriche sulle maggiori riviste di Alpinismo (Rivista della Montagna, ALP, Meridiani, Lo Scarpone…), racconti, guide e documentari (La Via Invisibile), sempre alla ricerca di itinerari “fuori moda”, dove la solitudine e il contatto diretto con l’ambiente permettono di provare ancora quel rapporto intimo con la natura che la civilizzazione ha lentamente compromesso.

Coerenti con questa visione sono anche il suo impegno ambientalista con Mountain Wilderness, le sue battaglie contro l’antropizzazione delle terre alte e l’uso smodato delle motoslitte, in particolare in Valcamonica, dove ha deciso di vivere, e l’impegno sociale nell’Operazione Mato Grosso, dove ha potuto mettere a servizio la sua esperienza per contribuire a formare una prima generazione di guide andine native (Don Bosco 6000) a Marcarà, nella Cordillera Blanca del Perù, che oggi propongono in autonomia le loro terre alte a un turismo internazionale attento all’ambiente. Per maggiori informazioni: culturale.caimilano@gmail.com  

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