“Per dovere patrio” l’ingegner Gallotti andò al K2

Partì da Milano in abito di grisaglia, con una buona scorta di sigarette “nazionali” e con la statuina della Madonnina da portare in cima al K2. Era il 1954 e l’ingegner Pino Gallotti, istruttore del Cai, era stato designato dal capospedizione Ardito Desio come responsabile del materiale tecnico, fra cui le bombole d’ossigeno. Gallotti è uno dei tanti “uomini del K2” di cui in questi giorni racconta Mirella Tenderini in un libro che viene presentato il 30 aprile a Bolzano e il 2 maggio al Trentofilmfestival (“Tutti gli uomini del K2”, Corbaccio editore), presenti Erich Abram e Ugo Angelino, i due soli supersiti della storica spedizione italiana.
Nel libro di Mirella, scrittrice e traduttrice di valore che a Milano ha fondato e diretto la prima agenzia letteraria internazionale per il libro d’arte, c’è il K2 del Duca degli Abruzzi, quello di Houston, quello di Desio, di Bonatti, di Diemberger, di Viesturs. E c’è Gallotti, uno dei 13 prescelti da Desio, persona squisita e indimenticabile, che ci ha lasciato il 12 marzo del 2008, un giorno prima di compiere novant’anni.
Gentile e riservato, socio benemerito del sodalizio milanese, accademico del CAI, quel giorno Pino se n’è andato in silenzio mentre la sua Milano si rivestiva di gialle forsizie primaverili e il suo K2 tornava alla ribalta, ancora una volta, con la pubblicazione del libro-inchiesta dei tre saggi Maraini, Monticone e Zanzi sulle note vicende.
Sul Corriere apriva la lista dei necrologi il messaggio del figlio Giovanni. “Caro papà”, era scritto, “hai conquistato la tua ultima vetta, ora puoi continuare a salire con leggerezza e con la tua compagna di una vita”.
Di quella pagina di storia Gallotti conservava buoni ricordi, come ha rivelato nel suo diario pubblicato nel settembre del 2002 dallo Scarpone. Per la Sezione di Milano del Cai fu causa di particolare orgoglio la sua partecipazione alla spedizione. Gallotti, che era una delle colonne portanti della Scuola Parravicini, raggiunse con Erik Abram e Walter Bonatti quota 7740 metri, installando e rifornendo il campo 8 da dove partì l’attacco finale alla vetta.
A tracciarne un vivido ritratto fu alla sua scomparsa il veterano Franco Sironi che con Gallotti ha condiviso appassionanti esperienze di vita e di alpinismo.
Un timido e un introverso: così lo descrisse Sironi. E aggiunse: “Pino non faceva nulla per mettersi in mostra ma era raro che dicesse di no se qualcuno gli chiedeva qualcosa. Il suo era un umorismo che si potrebbe definire inglese, basato su situazioni paradossali, mai volgari e men che meno sguaiate. Era un ottimo sciatore. E arrampicare con lui era una delizia, l’accordo era completo”.
Più avanti Sironi raccontò delle difficoltà incontrate da Gallotti in famiglia, poco propensa quest’ultima a concedergli di partecipare alla rischiosa spedizione al K2.
“Era stato educato all’antica, in modo molto rigido”, spiega Sironi. “Aveva fatto il Politecnico senza particolare entusiasmo. Lavorava con il fratello in accordo (come si faceva a litigare con il Pino?), ma quando riusciva ad andarsene in montagna e a uscire dalla gabbia del lavoro diventava uno diverso, come capita a molti. In realtà il suo amore per i monti non era ben visto in famiglia, tanto che quando ricevette l’invito per il K2 ci fu, prima di dare la risposta, una riunione allargata di parenti. Mi sembra che fu un vecchio zio, a suo tempo membro di una qualche società ‘Liberi e forti’, ad essere determinante in proposito sostenendo che per dovere patrio la scelta era obbligata”.